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Intelligence or “Intelligence”?

 di Alessio Feltri

 

Cydonia, Inca City, Tycho…gigantesche strutture geometriche che hanno spinto migliaia di appassionati a considerarle ancestrali architetture di sconosciute civiltà aliene. Quello che (finora) nessuno aveva ipotizzato era che questi ipotetici edifici non fossero fatti da extraterrestri, bensì fossero fatti di extraterrestri.

Un’affermazione tanto paradossale necessita evidentemente di qualche spiegazione, ma per chiarire la mia tesi devo affrontare un breve excursus sulla tecnologia costruttiva che l’ha prodotta.

Già in Like a Rolling Stone avevo chiarito come quasi tutti i frammenti rocciosi visibili in gran numero nelle foto dei rovers marziani fossero in realtà gusci calcarei o frammenti degli stessi, anche se la loro reale composizione è indeterminata, dato che, per quanto riguarda i dati forniti dalla NASA, non è possibile considerare attendibile ciò che ci viene riferito da gente che passa gran parte del suo tempo a “taroccare” le immagini.

Quello che avevo comunque individuato era che questi gusci avevano una struttura portante BVB (Biogenic Vertebrate Beams) rivestita da una specie di sottile “pelle” BCS (Biogenic Composite Slabs). Ambedue queste strutture risultano essere composte di microorganismi connessi tra loro e con la singolare caratteristica di non avere limiti dimensionali. In pratica i Fondatori (termine che ho applicato a questi misteriosi microorganismi) si cimentano nella costruzione di questi gusci senza preoccuparsi troppo se misureranno pochi centimetri o svariati chilometri. Assurdo? Può darsi, ma osserviamo intanto nella foto seguente l’intima struttura di questa “pelle”.

 

 

 


L’immagine 3D ci mostra, evidenziato dalla freccia gialla, un settore ablaso dal RAT in cui si notano innumerevoli filamenti paralleli, mentre nel resto della foto si possono notare altri filamenti isolati curvilinei.

Per evidenziarne meglio l’intima connessione con la materia circostante riporto un dettaglio ingrandito di questa immagine, in cui si può verificare come il filamento non sia continuo, bensì composto di microgranuli collegati.

 

 

 

Questi filamenti non sono una novità; erano già apparsi in alcune forme isolate all’inizio della missione di Opportunity (Sol 10-11) ed erano stati attribuiti a fili sintetici provenienti dagli airbags.

In realtà dalla foto seguente, fortemente ingrandita, si nota come anche in quel caso il filamento fosse composto di microgranuli, per di più attorcigliati in un percorso molto intricato intorno alle altre strutture vescicolari, di cui la freccia indica un esempio abbastanza chiaro.

 

 

 

 

Un ulteriore dato ci proviene da un’altra immagine microscopica 3D, in cui la freccia indica un foro da cui si evidenzia la struttura reticolare dei filamenti, che appaiono connessi in una struttura a maglia pseudoquadrangolare, dotata evidentemente di notevole resistenza strutturale, visto che rimane sospesa senza il supporto di materia sottostante.

 

 

 

 

Dalle foto emerge una somiglianza con le strutture in fibra di vetro o carbonio che usiamo nei casi in cui cerchiamo leggerezza e resistenza, con la differenza che i filamenti non sono sovrapposti in un “tessuto” bensì saldati nei punti di contatto, forse in base ad una qualche forma di anostomosi.

Siamo in pratica in presenza di una replica naturale delle reti elettrosaldate che vengono usate in edilizia per irrigidire le solette o fungere da supporto per le intonacature delle pareti.

I Fondatori creano dunque una specie di rete sinaptica, molto simile a quella neuronale del nostro cervello e che potrebbe anch’essa quindi essere interessata da fenomeni di natura elettrica.

Il fatto certo è comunque che questa tipologia strutturale consente la costruzione di strutture laminari molto sofisticate, come in questa immagine 3D di Opportunity:

 

 

 

 

Riguardo a quanto incautamente ventilato dalla NASA, e cioè l’origine sedimentaria di questa formazione, sarei curioso di conoscere il meccanismo attraverso cui le laminazioni si sono disposte lungo assi perpendicolari…

In realtà, come abbiamo visto, le reti sinaptiche si connettono tra loro in strutture molto complesse e sempre diverse, pur nell’ambito di una certa costanza di forma. Interessante è inoltre l’uso di “nervature” parallele, atte probabilmente ad irrigidire le lastre, di cui possiamo vedere un esempio illuminante:

 

 

 

 

Questa tecnologia “costruttiva” consente ai Fondatori di riunirsi in gusci molto particolari, di cui non conosciamo completamente il significato, ma di cui possiamo riconoscere agevolmente la forma, come in questo caso, in cui possiamo vedere una piccola piramide elicoidale, molto simile agli esempi giganteschi di Cydonia.

 

 

 

 

 

Dato che appare abbastanza improbabile che i gusci servano a difendersi da invisibili predatori, l’ipotesi più verosimile rimane quella che abbiano la funzione di poter procedere ad un “trattamento” della fonte energetica solare senza incorrere nella scomposizione molecolare indotta dagli ultravioletti; non mi sorprenderei se da un futuro esame dei Fondatori dovesse emergere una quasi totale identità col DNA delle creature terrestri.

 

Certo alcuni Fondatori appaiono più orientati a forme tecnologiche razionali, almeno a giudicare da questa curiosa immagine 3D, in cui appaiono delle strutture molto simili ai nostri telefoni cellulari.

 

 

 

 

 

 

Passando al macroscopico, già in Drop Circles avevo avanzato l’ipotesi di una genesi organica dei crateri presenti sui corpi celesti del nostro sistema. Ora possiamo vedere nella foto 3D seguente un dettaglio di un foro praticato da Opportunity sul fondo apparentemente sabbioso di Endurance.

 

 

 

L’immagine parla da sola, per cui mi limito a far notare come il margine del foro sembrerebbe essere praticato più in una lastra di cartone pressato, che non in uno strato sabbioso. Il vuoto sottostante depone inoltre a favore del fatto che anche in questo caso il fondo del cratere sia in realtà un “doppio fondo” creato dalla rete di microorganismi. Non c’è da stupirsi che i tecnici NASA abbiano evitato di addentrarsi nel cratere: il vero motivo non è però quello del pericolo di insabbiamento, bensì quello che il peso del rover avrebbe potuto far crollare il “pavimento”.

La struttura reticolare è presente in tutte le forme marziane, compresi i famosi “blueberries” di cui abbiamo spesso dissertato. Guardate per esempio questa immagine, in cui lo strato superficiale appare leggermente decorticato, rivelando l’intricata rete di microorganismi sottostante:

 

 

 

 

Da questa foto ho inoltre ricavato che la simmetria centrale della sferula è molto probabilmente di ordine 5 e non 3 come avevo inizialmente ipotizzato. Questo appare compatibile con le forme organiche terrestri, anch’esse sempre di ordine 5, essendo le simmetrie di ordine 3,4,6 relegate al mondo inorganico. Dalla depressione apicale superiore si dipartono dei raggi che dividono la sfera in settori, che ho cercato di evidenziare con falsi colori nell’immagine seguente.

 

 

 

 

Notate come nella zona apicale di questa sferula appaia una microsfera a lucentezza metallica, contornata da una spirale di microorganismi, quasi una piccola “galassia”.

 
Lastre, dischi, sfere sono le forme più “frequentate” dai Fondatori ed un primo esempio lo possiamo trarre da questa bella immagine del picco centrale del cratere lunare Tycho, frutto di una mia elaborazione di una fotografia ripresa dalla sonda Clementine.

 

 

 

 

Sorvolando sulle innumerevoli stranezze di questa foto, mi limito a far notare il grande GDU (Gravity Disk Unit) presente alla base, che ho meglio evidenziato nell’immagine seguente:

 

 

 

 

Come si può vedere i consueti tracciati della rete sinaptica sono ben visibili. Se non sapessimo che stiamo osservando strutture gigantesche, potremmo tranquillamente confonderle con quelle visibili sulla superficie delle sferule.

Anche su Marte i Fondatori hanno pensato bene di complicare i sonni di Steve Squyres (poverino, non gliene va bene una) con macrostrutture abbastanza ardue da nascondere completamente.


Per Opportunity una prima botta è arrivata in Sol94, con l’arrivo del rover nei pressi di Endurance, quando l’obiettivo ha inquadrato il sito Kalahari, evidenziando un notevole “cestello” GDU del diametro di alcuni metri (indicato dalla freccia nella foto seguente) ed il canale con galleria sulla sinistra.

 

 

 

 

In Sol95 si è posto riparo alla questione con il solito panorama finto, ma, dato che non c’è limite al peggio, in Sol115 è arrivato un altro scivolone, questa volta con la censura (riquadro giallo) della foto destra di una coppia stereo, che mostrava dei lastroni sollevati sormontati da sferoidi in prossimità del sito Namib.

 

 

 

Nella foto ho “resuscitato” l’immagine originale. Certo che chiamare i due siti Namib e Kalahari per richiamare la caccia grossa non mi è sembrata una grande idea per degli insabbiatori di notizie.

 

 

Mi scuso anche per la qualità delle immagini, dovuta in parte al poco tempo a disposizione (in fondo sono sicuramente l’agente segreto meno pagato della storia). Qualora qualcuno dubitasse sulla mia interpretazione, riporto un’altra circostanza in cui sono apparsi i suddetti lastroni con sferoidi, e più precisamente durante l’esplorazione da parte di Spirit del cratere Bonneville.

La spiegazione ufficiale fu che si trattava di parti dello scudo termico della sonda precipitate durante la fase di atterraggio. Nella foto seguente riporto lo schema delle parti “incriminate”.

 

 

Vi lascio giudicare la credibilità della versione ufficiale. Per aiutarvi aggiungo un’animazione in cui riporto la stessa struttura fotografata nell’arco di diversi giorni

 

 

Qualità delle immagini a parte, la struttura cambia forma spesso e volentieri e quindi i casi sono due:

 

1)     Le foto sono autentiche e allora non esiste uno scudo termico che cambia forma.

2)     Qualche foto è truccata, ma perché nascondere la presenza di uno scudo termico?

 

Namib è da diversi mesi una spina nel fianco della NASA, che fatica parecchio a nascondere quello che scaturisce dal terreno, come già avevo evidenziato nella tavola comparativa presentata all’inizio di Drop Circles. A titolo di esempio osservate questa immagine: in alto c’è il sito in versione “taroccata”, mentre in basso c’è una foto 3D della situazione reale, rubacchiata sullo sfondo di un’immagine panoramica. Se avete gli occhialini a lenti colorate potrete agevolmente vedere, al centro della foto in basso, un disco di non meno di due metri di diametro, che scaturisce dal terreno protrudendo una specie di appendice conica (scherzosamente lo potrei definire una specie di pizza con trombetta).

 

 

 

Concludendo, colgo l’occasione per ringraziare Sebastiano di Siracusa per i molti (e immeritati) complimenti e spero di avergli fatto cosa gradita smascherando qualche altra balla spaziale.

Ringrazio inoltre l’amica Margherita per avermi garbatamente preso in giro, segnalandomi per l’Oscar della fantascienza, anche se devo avvertirla che non ha ancora visto niente…

 

ALESSIO FELTRI

 

Margherita Campaniolo

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