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Un mistero chiamato Tunguska
di Nicoletta Verna

In una delle sue prime avvincenti avventure Martin Mystère, il “detective dell’impossibile” che anima l’omonima collana a fumetti, finiva in una desolata landa siberiana per indagare sulle cause di un apocalittico e inspiegabile evento: l’albo s’intitolava Tunguska! e il fatto in questione riguardava una misteriosa deflagrazione che, agli inizi del secolo, aveva annientato migliaia di chilometri di foresta insieme a tutte le forme di vita che la popolavano. Stesso titolo, stesso scenario post-atomico e stessi intenti ispiravano, poco dopo, un episodio lungo del telefim X-files. Mulder e Scully, i due agenti dell’Fbi protagonisti della serie, si trovavano a loro volta nella taiga dove scoprivano che i responsabili della catastrofica esplosione erano non meno che gli alieni: forse quei medesimi descritti nel 1946 dallo scrittore siberiano Kasantzev in un’opera dedicata all’evento. Il mix di scienza, mistero e fantasia che ha dato vita negli anni a queste e a moltissime altre storie conduce in realtà a una delle più oscure catastrofi naturali di tutti i tempi, conosciuta da geologi, astronomi, scienziati e ufologi con il nome di “evento Tunguska”.
 
 Siberia, un’esplosione accecante e alcuni inspiegabili eventi
 

Tutto ebbe inizio alle 7 e 17, ora locale, del 30 giugno 1908, quando il cielo al di sopra della vallata del fiume Podkamennaja Tunguska, nella Siberia centrale, fu attraversato da sud est a nord ovest da un oggetto dalla luce accecante. Chi c’era parlò di un repentino raggio dai riflessi bluastri seguito da un’imponente colonna di fumo, ma anche di un boato udito per un raggio di 1500 chilometri e di un’onda violentissima di pressione atmosferica che spazzò via le tende, anche lontanissime, dei nomadi della taiga.

Nello stesso momento, in molte zone del pianeta si registrarono fenomeni anomali: un treno della Transiberiana che viaggiava a 500 chilometri di distanza fu colpito da una cascata di detriti incandescenti, un’onda sismica fu rilevata da diversi osservatori in tutto il mondo (Irkutsk, Tashkent, Tiflis, Jena), i marconisti dei vascelli transoceanici captarono forti disturbi magnetici che bloccarono istantaneamente le attrezzature e in molte zone del pianeta, Europa compresa, il cielo fu illuminato da un’anomala, inspiegabile luce. Nei giorni successivi all’esplosione, narrano ancora i testimoni, restò nell’aria una strana lucentezza arancione, che si dice rischiarasse anche di notte l’immensa area colpita dall'esplosione.

 

 Inizia la rassegna delle ipotesi
 

Nonostante fosse giunto un po’ ovunque il segnale che qualcosa d’incredibile era avvenuto in Russia, negli anni che seguirono nessuno si preoccupò del fenomeno, che venne per lo più relegato a fantasia e superstizione popolare. La prima spedizione nelle zone colpite dall’esplosione fu effettuata solo nel 1927 dal mineralogista Kulik dell’Accademia Sovietica delle Scienze, il quale s’era convinto che il responsabile dell’evento fosse stato un meteorite. Giunti sul posto, gli scienziati si trovarono di fronte a uno spettacolo agghiacciante. Dove prima si estendeva la foresta siberiana c’era un’immensa area di alberi sradicati, spezzati, scortecciati e carbonizzati che volgevano a raggiera le radici divelte verso un unico medesimo punto.

Raggiunto l’epicentro, che Kulik nel suo diario definì il Grande Calderone d'Inferno, lo scienziato non trovò il cratere meteoritico che si aspettava ma solo una grande depressione paludosa di 10 chilometri di ampiezza, formata da buche piene d’acqua e montagne di fango.
Si era così aperto il mistero di Tunguska. Ricerche successive avrebbero dimostrato che la deflagrazione, la più imponente del secolo e della storia conosciuta, aveva colpito un’area di oltre 2000 chilometri quadrati e sradicato 60 mila alberi, con una potenza pari a mille volte quella della bomba atomica su Hiroshima: se avesse avuto luogo in zone abitate, la sua forza distruttiva avrebbe potuto annientare una metropoli delle dimensioni di New York.

La prima spiegazione del fenomeno, proposta già da Kulik, ne attribuì le cause a una meteorite gigante esplosa nel contatto con l'atmosfera: l’entità dell’impatto, però, portava a immaginare un corpo di massa talmente grande (106 tonnellate secondo la stima dello scienziato Fesenkov, 1965) da far escludere la sua distruzione in aria. Inoltre, se la mancanza del cratere poteva essere spiegata con il fatto che l'oggetto era scoppiato a svariati chilometri dal suolo, non era possibile giustificare la completa assenza di frammenti di materia nelle zone colpite. Si iniziarono pertanto a vagliare altre teorie e nel 1930 gli astronomi Whipple e Astapovich sostennero che l’esplosione era stata determinata dalla collisione con una piccola cometa. Era infatti possibile che i gas componenti il nucleo del corpo celeste, surriscaldati a causa dell’attrito con l’atmosfera, si fossero espansi fino a disintegrarsi in aria ed esplodere. La debole coesione del materiale costituente il nucleo della cometa spiegava da un lato la sua rapida disintegrazione in aria, dall’altro l’impossibilità di reperire frammenti. Rimase del tutto inspiegabile, tuttavia, il fatto che tale cometa non fosse stata rilevata da alcun osservatorio astronomico dell’epoca, e ciò tolse di credibilità all’ipotesi.

Più ardita, quasi fantascientifica, fu la tesi avanzata nel 1973 dagli scienziati Jackson e Ryan dell'Università del Texas, i quali pensarono a un mini buco nero che, entrato in collisione con la Terra, l’avrebbe letteralmente “attraversata” entrando nella zona di Tunguska ed uscendo dalla parte opposta, nell’Atlantico settentrionale. Non fu però registrata, nel 1908, alcuna perturbazione oceanica nel punto in cui il buco nero avrebbe dovuto uscire, e l’idea venne abbandonata.
 

Extraterrestri o esperimenti atomici?
 

Il carattere complesso e non convenzionale dell’evento condusse ben presto anche alla formulazione di teorie extraterrestri. Il primo a citarle fu, nel 1946, lo scrittore e ingegnere siberiano Kozantsev, che sostenne l'ipotesi di un'astronave aliena esplosa a 5-10 chilometri dal suolo durante la fase di atterraggio per un guasto al sistema di propulsione nucleare. L’idea incontrò grandi consensi, tanto che negli anni a venire furono proposte un gran numero di teorie basate su presupposti non dissimili: tentativo mal riuscito di contatto con la Terra da parte dei marziani, sperimentazione della potenza distruttiva di un’arma mortale aliena, battaglia aerea tra due o più astronavi delle quali una era precipitata e così via. Tali ipotesi trovavano la loro ragion d’essere nella difficoltà di riconoscere interpretazioni scientificamente plausibili all’evento Tunguska: proprio il loro totale scollamento da premesse scientifiche, tuttavia, precluse loro la possibilità di essere prese in seria considerazione.

Moltissime altre sarebbero state negli anni le spedizioni promosse nella zona di Tunguska (una delle ultime organizzata nel 1999 dall’Università di Bologna) e ancor più copiose le ipotesi avanzate per spiegare il fenomeno: qualcuno lo giustificò pensando a un'esplosione nucleare dovuta ai primi esperimenti russi sull’atomica, qualcun altro avanzò l’ipotesi tettonica, collegandosi a processi terrestri endogeni; furono poi chiamati in causa i fulmini globulari e la teoria dell’antimateria, secondo la quale un piccolo frammento di antimateria penetrato nel nostro pianeta avrebbe provocato la distruzione, mentre il geologo Epifanov sostenne che la responsabilità dell'evento andava ricercata in un potentissimo getto di gas proveniente dalle profondità della Terra. Nessuna di queste teorie, tuttavia, è mai risultata pienamente valida e convincente; e uno dei più inquietanti misteri di tutti i tempi attende ancora di essere chiarito.

Chi volesse vedere coi propri occhi l’impressionante scenario di Tunguska, poi, può raccogliere l’invito della rivista sovietica Voyages in Urss, che nel 1990 ha reclamizzato il “Tunguska tour”: tre giorni in confortevole albergo situato in un villaggio tipico siberiano con visita guidata nelle zone del disastro e, soprattutto, possibilità di incontrare i ricercatori proprio nel momento della grande scoperta. Se proprio si è fortunati, anche i marziani.
 

Da ReS

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