Il celebre liutaio nacque nel 1644 e
produsse i suoi preziosi violini nel periodo d'oro tra il 1700 e il 1720,
utilizzando abeti rossi plurisecolari. La piccola era glaciale accentuò la
densità del legno di questo genere di abeti, incrementandone la naturale
capacità di risonanza.
La scienza di cui si occupa Henri Grissino-Mayer, professore del
dipartimento di geografia dell’università del Tennessee, non è tra le più note
ed è designata da un termine che assomiglia a uno scioglilingua:
dendrocronologia. Consiste nella precisa datazione dei materiali arborei resa
possibile dal fatto che gli alberi, negli anelli di crescita visibili quando si
taglia il tronco, conservano chiari segni degli eventi climatici ai quali sono
stati esposti.
Dello studioso americano sta facendo discutere un articolo scritto a quattro
mani con Lloyd Burckle, un climatologo della Columbia University,
per la rivista Dendrochronologia, nel quale viene illustrata un’ingegnosa teoria
che attribuisce la musicalità ineguagliata dei violini prodotti da Antonio
Stradivari all’irripetibile qualità del legno utilizzato dal maestro
cremonese.
POCO SOLE PER 70 ANNI
Grissino-Mayer ha infatti messo a punto una cronologia che copre i cinquecento
anni dal 1500 a oggi, riguardante 16 foreste di pini, abeti e larici disseminate
nei principali paesi europei. In questo modo ha scoperto un periodo di
crescita particolarmente lenta degli alberi collocabile tra il 1625 e il 1720,
di cui è rimasta traccia in anelli molto stretti, posti cioè a distanza
estremamente ravvicinata l’uno dall’altro. In questo periodo rientrano i
settant’anni tra il 1645 e il 1715, noti come Maunder Minimum, dal nome
dell’astronomo inglese Edward Walter Maunder (1851-1928), che documentò
una ridotta attività solare in quel settantennio.
PICCOLA ERA GLACIALE
Il Maunder Minimum coincide con il culmine di una “little ice age”, una piccola
era glaciale che dominò l’Europa tra Quattrocento e Ottocento, al quale i due
scienziati americani riconducono il rallentamento della crescita degli alberi,
notando contemporaneamente che Antonio Stradivari nacque nel 1644, un
anno prima dell’inizio del Maunder Minimum, e produsse i suoi preziosi
violini nel periodo d’oro tra il 1700 e il 1720, utilizzando abeti rossi
plurisecolari. La piccola era glaciale accentuò la densità del legno di questo
genere di abeti, incrementandone la naturale capacità di risonanza.
Condizioni climatiche migliori avrebbero prodotto anelli più larghi, mentre i
migliori abeti rossi utilizzabili nella realizzazione delle tavole armoniche dei
violini sono considerati proprio quelli dagli anelli di crescita molto sottili
e con la scarsa presenza di nodi. Il segreto dello Stradivari può quindi essere
tranquillamente rivelato, perché il talento innato del più grande liutaio della
storia si rivelò in tutta la sua potenza anche grazie a un materiale prodotto da
una singolare concatenazione di fattori naturali.
STUDIO SENZA LE CORDE
Due anni fa, su invito di Helen Hayes, presidente della Violin Society of
America, fondata a New York nel 1974, Grissino-Mayer aveva applicato l’analisi
dendrocronologica al Messia, il più apprezzato degli Stradivari,
dall’autenticità controversa, conservato all’Ashmolean Museum di Oxford e
il cui valore è stimato in circa 20 milioni di dollari. In quell’occasione
Grissino-Mayer, con cui collaborarono due colleghi, Paul Sheppard
dell’università dell’Arizona, e Malcolm Cleaveland dell’università
dell’Arkansas, fu autorizzato a rimuovere provvisoriamente le corde del violino,
per analizzare meglio il cuore degli anelli del legno, situato proprio nel
centro della parte frontale dello strumento.
I dati riscontrati sul Messia furono confrontati al computer con quelli di un
altro prezioso Stradivari, la viola chiamata Archinto conservata alla Royal
Academy of Music di Londra. Grissino-Mayer stabilì che il legno utilizzato
per il Messia era di abete rosso cresciuto tra il 1577 e il 1687, periodo
pienamente coerente con l’anno di produzione tradizionalmente attribuito a
questo violino, il 1716.
Alla luce della teoria elaborata recentemente, lo studioso del Tennessee
potrebbe oggi aggiungere che, anche per il suo nome, il Messia è un sacro
strumento a cui posero mano il cielo e la terra. |
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