LA CONSEGUENZA più eclatante e drammatica del terremoto scatenatosi a
Santo Stefano nel fondo del mare ad ovest dell'isola di Sumatra, nel
Borneo, è l'onda che ha spazzato l'Oceano Indiano alla velocità di un
aereo di linea, gonfiandosi in vista delle coste per scaricarvi poi
tutta la sua energia seminando lutti e distruzioni. Un secondo effetto
dello smisurato “colpo di frusta” che ha innescato lo tsunami come in
epoca di globalizzazione è trendy ribattezzare l'italico maremoto
riguarda un fenomeno assai meno appariscente, forse impercettibile
persino agli addetti ai lavori, e comunque per nulla calamitoso: un
minimo anche se brusco aggiustamento delle caratteristiche della
rotazione diurna della Terra. Niente di nuovo sul fronte della
conoscenza, come purtroppo nulla di nuovo c'è nelle tragedie che
periodicamente funestano l'umanità, scatenate dall'ira degli dei, come
si diceva in antico, o semplicemente dalla miseria degli uomini.
Tutti sanno che oggi la Terra ruota attorno al proprio asse in 24 ore,
ma forse non tutti ricordano, anche se l'hanno studiato a scuola, che la
durata del giorno va mediamente allungandosi col passar del tempo,
mentre i poli vagolano, sia pur con moderazione, sulla superficie del
pianeta. Le cause di tali cambiamenti (un incessante rallentamento e
qualche repentina accelerazione) sono molteplici, ma hanno tutte a che
vedere col fatto che la Terra, lungi dall'essere il corpo “rigido” dei
nostri più semplici modelli matematici, è invece una struttura plastica,
soggetta ad “attriti” e conseguenti dissipazioni per via delle sue masse
fluide, e ad “accomodamenti” come, per esempio, quel rapidissimo
riassetto del fondale lungo un fronte di molte centinaia di chilometri,
determinato della competizione tra le placche tettoniche indiana ed
asiatica, che è all'origine dell'epocale tragedia nel Sud-Est asiatico.
Soffermiamoci su quest'ultimo fenomeno. Uno spostamento di grandi masse
ha qualitativamente lo stesso effetto di una variazione d'assetto in un
pattinatore che stia piroettando su se stesso: col gioco delle sue
braccia cambiano la velocità di rotazione e la giacitura dell'asse
relativamente al corpo. In tutti i casi l'entità della variazione
dipende dalla dimensione della causa scatenante. Di norma gli effetti
prodotti da eventi sismici sulla Terra non sono tali da poter essere
misurati con gli strumenti dei geofisici e degli astronomi. Ma il
terremoto sottomarino di questi giorni, il maggiore del mondo negli
ultimi 40 anni a detta degli esperti, ha forse superato la soglia di
rivelabilità, e non è escluso che nei prossimi giorni le grandi parabole
dei radiotelescopi del Vlbi (Very Long Baseline Interferometry) possano
farci “vedere” il minuscolo salto dell'asse della vecchia Terra al
momento in cui il mostruoso tsunami nasceva.
Sarebbe solo la conferma di un fenomeno che, su scala assai maggiore,
gli astronomi osservano da tempo nelle pulsar, dove minimi crolli nella
superficie della stella di neutroni (che ovviamente ci immaginiamo
soltanto), giusto qualche centimetro, determinano brusche e rilevanti
accelerazioni della rotazione dell'astro (che invece misuriamo). Val la
pena di sottolineare, per evitare l'insorgere di pericolosa confusione,
come il ragionamento non sia reversibile. In altre parole, non ci sono
argomenti per sostenere, come s'è sentito dire, che i terremoti abbiano
origine da “ordinarie” perturbazioni della rotazione diurna della Terra.
Insomma, il disastro di questi giorni non discende affatto dagli astri,
come vorrebbe l'etimologia. Esso ha invece conseguenze, seppur minime e
per noi scarsamente significative, su un corpo celeste, su quella
navicella alla cui chiglia siamo aggrappati: un pianeta che gira su se
stesso con una velocità equatoriale di mezzo chilometro al secondo, e
intorno al suo Sole a 30 km/s, che viaggia nella Via Lattea a 250 km/s,
che partecipa alla caduta verso il cuore dell'ammasso di galassie della
Vergine a 300 km/s e alla migrazione verso il Grande Attrattore col
ragguardevole passo di 600 km/s. Noi non abbiamo percezione di questa
folle e zigzagante regata, né coscienza della precarietà
dell'imbarcazione, sin quando la natura non ci ricorda, con gesti per
lei minimi ma terribili per noi, come la nostra impotenza sia grande per
lo meno quanto la nostra arroganza. Allora, come i naufraghi, ci
abbracciamo l'un l'altro per esorcizzare la paura. Una solidarietà che
purtroppo dura poco.
Data: Mercoledì 29
Dicembre 2004
Autore: di MASSIMO CAPACCIOLI
Fonte: Il Messaggero, ed.
Caltanissetta
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