Ennio Flaiano ha sempre scritto controcorrente, in barba ai
perbenisti e alle
mode del suo tempo. Dal lungomare di Fregene, a braccetto con
l’amico Fellini,
lui inventava provocazioni: come la sua commedia Un marziano a Roma
.
L’italiano fine anni 50 scrutava il cielo aspettando dischi volanti
e piccoli
mostri verdi? E Flaiano faceva arrivare un’astronave nel Galoppatoio
di Villa
Borghese: a bordo c’era “il signor Kunt”, un aitante marziano che si
dichiarava l“angelo revisore di una nuova armonia universale”. Ma dopo un
iniziale stupore,
i romani, filosofi millenari, “divorarono” psicologicamente
l’utopista Kunt: a
lui rimase l’amore di Anna, sognatrice fuori degli schemi. Ma che
cosa
scriverebbe, oggi, il bastian contrario Flaiano? Nessuna commedia,
perché i
robot Spirit ed Opportunity non hanno voce, e lassù non c’è traccia
di esseri
verdastri. E allora proviamo ad accenderlo noi un dialogo
Terra-Marte,
invitando a bordo di una fantastica astronave del Messaggero (quella
vera, Bush
la prevede non prima del 2025) un equipaggio di scienziati,
intellettuali,
poeti, artisti, preti e giornalisti. Si parte. Bagaglio
indispensabile per i
viaggiatori: intelligenza, fantasia e speranza nel domani.
«Io lo sapevo - dice Margherita Hack, astrofisica fiorentina senza
età - lo
sapevo prima che Mars Express scoprisse l’acqua su Marte: lo sapevo
che c’è
vita su quel pianeta, come in tutto l’universo. Ma partire no,
grazie. E lo
sconsiglio anche ai più coraggiosi. Marte è a una distanza immensa
dalla terra.
Troppo rischioso. Ci pensino i robot senza anima e sangue a
scandagliare quel
pianeta».
E il padre di E.T., il creatore di effetti speciali
Carlo Rambaldi,
come l’immagina i marziani? «Sto con Flaiano. Li ricostruirei simili
a noi.
Perché credo che l’uomo, prima di approdare sulla terra, abbia
abitato su altri
pianeti, e anche su Marte. Nell’universo ci sono migliaia di nostri
“doppioni”.
Esistono uno, cento, mille Rambaldi. Io oggi sono a Lamezia, da mia
figlia, ma
un altro Rambaldi, nel cosmo, in questo momento sta parlando al
telefono con un
giornalista come lei. Poi conosco il cinema, tutti i suoi trucchi
diabolici: e
non escludo che certe imprese spaziali si possano anche inventare in
studio.
Quegli astronauti che saltellano su altri pianeti con il cielo tutto
bianco o
tutto nero... Non mi convincono. Mi spiego?».
Chi invece ha le valigie pronte, è
Maurizio Nichetti, baffuto
regista di film,
dove futuro e pubblicità sono un razzo verso il 3000. «Il nostro
mondo è ferito
- sostiene - contaminato da virus. L’umanità ha bisogno di sognare,
di poter
sbarcare da un’altra parte ancora intatta. Certo, su Marte ci sono
meno Pierrot
che sulla Luna, ma è nuovo ossigeno fantastico, nuova vita. Perché
atteggiarsi
a conservatori di un mondo che ci ha stancato? D’altronde non li
chiamavano
“pazzi volanti” i primi uomini che prendevano quota con degli aerei
di
cartapesta? Col tempo, certi sogni si rivelano più veri della
realtà».
Alda Merini, poetessa dei Navigli milanesi, non vuole comprare il
biglietto per
Marte. «Se me lo regalate accetto, ma non partecipo con un solo euro
a questa
corsa all’oro degli americani. L’oro è un vecchio pallino dei
trisavoli di
Bush. Per me, nello spazio ci vanno soltanto le anime dei poeti, ma
solitarie e
gratis. Come quella del mio amico Vanni Scheiwiller, al quale ho
dedicato
“Ninna nanna per un poeta”, una poesia verso l’infinito: E’ stata
una
vestale/una giovane donna a portarti il silenzio/sui monti della
morte/.
All’uomo la solitudine fa paura/ma tu hai varcato i confini/di ogni
visibile
spazio/. Sei più in alto di qualsiasi astronauta/. Tu sei oltre la
Luna dei
manicomi/sei ormai nella parola di Dio... ».
Non parte anche Gino Paoli, cantautore genovese che pure si commuove
davanti
agli istinti del cuore. «Portate su Marte mio figlio Tomaso, che ha
undici anni
e vive come in un telefilm. Quel robottino che scivola sulle dune di
Marte lo
fa impazzire. Ma la sua è una felicità virtuale. Se veramente
esistono i
marziani, sanno anche come si vive o si sopravvive sulla terra: e
allora
aspettiamoci che da un momento all’altro loro compaiano sui
teleschermi per
distruggere i robottini. Lasciamoli in pace, poveri extraterrestri,
nella loro
beata civiltà: non facciamo come il mio concittadino Cristoforo
Colombo, che
per scoprire l’America ha annullato schiere di pellerossa o la
cultura Maja.
No, non cambierò i miei vecchi versi di “Senza fine”. Ricordate? Tu
per me sei
Luna e stelle, tu per me sei sole e cielo , non diventeranno mai Tu
per me sei
Marte e stelle ...».
Il professor Antonino Zichichi è della compagnia, affascinato
dall’acqua su
Marte. Ma prende le distanze da chi crede ciecamente nell’esistenza
di esseri
verdi simili a noi sul pianeta rosso. «Il vero problema - spiega - è
capire il
passaggio dalla materia inerte a quella vivente. Dalla pietra al
gatto, alla
farfalla o all’uomo. Sono importanti le date della “ragione”. Sul
nostro
pianeta c’è acqua da milioni di anni, eppure l’uomo è spuntato
all’improvviso, la civiltà ha soltanto diecimila anni, e la scienza
è appena nata quattrocento
anni fa. Opportunity e Spirit non sono robot americani, europei o
giapponesi:
sono frutti della ragione umana collettiva. Ma la scienza studia
l’immanente
non potrà mai documentare quell’attimo trascendente, in cui la
pietra diventa
gatto o uomo: altrimenti scoprirebbe Dio».
E Tito Stagno? Il popolo televisivo di mezza età ricorda il biondo e
occhialuto
giornalista che annunciava “l’allunaggio” del Lem nel luglio del
1969. Bruciò
in diretta nientemeno che Ruggero Orlando, che invece da New York
sbagliò i
tempi dell’arrivo storico dell’uomo sulla Luna. «Francamente non
m’illudo una
seconda volta - confessa - ci avevano anche raccontato che l’impresa
lunare non
dipendeva dalla guerra fredda... Ricordo le teorie di un ingegnere
cinese, che
prevedeva per il 2025 la prima nascita umana sulla Luna. E adesso
Bush ci dice
che in quello stesso anno l’uomo arriva su Marte? No. Scusate, ma io
sono il
primo di otto figli, ho fatto l’insegnante e nel 1943 lavoravo a
Radio
Sardegna... non avevo nemmeno una bicicletta, altro che razzi e
sonde. I miei
attuali contatti con gli americani, sono con il Centro Studi
Anticancro in
California. Solo i narcisi vogliono volare su Marte: io sogno di
guarire i miei
simili dal cancro e dell’aids. Passo e chiudo».
Con valigie e sorriso, pronto al meno 3, 2, 1... è Don Mazzi, cuore
e anima
della comunità milanese Exodus, dove lui strappa dalla disperazione
della droga
centinaia di ragazzi ogni anno. «Mi metto in fila e via. Ma volete
scherzare?
Aria nuova, nuovi orizzonti. Che cos’è questa presunzione di pensare
a miliardi
di stelle tutte per noi umani? Parto subito, e con me vorrei portare
tutti quei
ragazzi che perdono le ore penzolando nelle vie del centro di paesi
e città,
con il gel tra i capelli e sculettando. Tutti su Marte. Dio ci
aspetta nei
crateri e nei deserti rossi: ed è lo stesso Dio delle baracche delle
nostre
periferie».
Gino Strada è polemico e amareggiato. «Adesso mi tirerete addosso le
pietre
terrestri, ma dove mettiamo due miliardi di creature che vivono sul
nostro
pianeta con un paio di dollari al giorno? Che cosa mangiano? Sabbia
marziana?
Io penso che dietro Spirit e Opportunity ci siano strategie militari
e basta.
Altro che ideali e bandiere. E’ una follia che oggi gli americani
destinino il
51 per cento delle loro tasse per il riarmo. Niente sonde o robot:
con mia
moglie Teresa e mia figlia Cecilia continuerò a vivere per Emergency.
Il nostro
sito è www.peacereporter.net . Cliccate con noi, diteci se preferite
volare su
Marte, o viaggiare in Iraq e Afghanistan, dove c’è tanto da
scoprire».
All’equipaggio s’aggiunge Gabriele La Porta, direttore di Rai notte,
che nella
sigla dei suoi programmi ha una Luna piena. «Marte sarà l’ennesimo
sbarco
esteriore, che porterà nuove gioie, ansie e nostalgie. Certo, volerò
anch’io
fino lassù, ma sognando lo sbarco interiore. L’universo,
ricordiamolo, è dentro
di noi».
Per ultimo
Giovanni Raboni, critico e poeta. «I più bei libri della
mia
adolescenza, sono firmati da Giulio Verne. Mi affascinano da sempre
Luna e
Marte: ma c’è una distanza enorme tra l’immaginazione privata e la
realtà
scientifica. Sono tentato di sognare, ma come critico di poeti e di
me stesso,
preferisco viaggiare negli occhi di un bambino disperato
dell’Africa».
L’astronave è ancora là: meno 3, 2, 1... E nell’aria fredda di
questo marzo
romano risuona la voce pacata di Kunt, marziano incompreso nel
finale della
commedia di Flaiano: «La cosa significa tutto e niente, è soltanto
un rito, sta
a noi darle costrutto, fingendo d’aver capito tutto».