Le prospettive
sul pianeta
Uomo su Marte,
e
il vento solare?
FRANCO MALERBA*
Tempo
mite nella piana di Gusev, temperatura massima cinque, minima meno quindici. Ma
non c'è neve, non nevica da un paio di miliardi di anni. Durante il giorno il
Sole colora il cielo di un colore rossastro e si vedono le stelle; nel buio
della notte si vede lontana la Terra. Questo potrebbe essere il primo reportage
televisivo dell'inviato speciale Spirit, la sonda che tutti abbiamo cominciato a
conoscere, se sapesse stupirsi delle cose singolari che vede lassù, sul suolo di
Marte. Cambiando canale televisivo, capito su un reportage del rally
Parigi-Dakar: auto e moto arrancano a fatica in un panorama ostile di dune e di
sabbia, potrebbero correre nelle piane di Marte.
Marte è solo il nostro pianeta gemello,
sfortunato perché ha perso gran parte della sua atmosfera e della sua acqua. In
orbita c'è anche Mars Express, la sonda europea assemblata a Torino, che
funziona perfettamente, che meglio del sistema americano sa studiare e indagare
il mistero dell'acqua scomparsa grazie agli strumenti «made in Italy», la sonda
europea vittima incolpevole di una battaglia televisiva perduta perché si è
persa la sonda Beagle. Poco importa se Mars Express riesce ad entrare
perfettamente in orbita (come infilare la cruna di un ago a Roma prendendo la
mira a Bari), poco importa se era progettato come «esperimento-mascotte», un
progetto «goliardico» (di un brillante gruppo universitario inglese), realizzato
in economia. Ci si attende che, proprio in questo momento magico di riscoperta
dello spazio da parte del pubblico, il presidente Bush voglia rilanciare alla
grande il programma spaziale americano già con l'atteso discorso di oggi.
L'obiettivo nuovo sarà «l'uomo su Marte», ma
per rendere questo obiettivo possibile bisognerà tornare sulla Luna, costruirvi
una base scientifica e un cantiere di sperimentazione tecnologica; bisognerà
pensionare e sostituire la flotta degli shuttle,
inventare nuovi sistemi di propulsione elettrica e nucleare nello spazio,
mettere a punto nuove tecnologie di riciclaggio e di sopravvivenza, preparare
gli astronauti alle sfide di lunghi viaggi in solitudine ed autonomia. Il
bilancio della Nasa, l'ente spaziale Usa, dovrà tornare a crescere, come ai
tempi in cui la corsa al cosmo alimentava la grande crescita economica
americana.
Probabilmente
questo scenario è «troppo» per essere realizzabile in un tempo prefissato (e
potrebbe oggi essere «gonfiato» ad arte solo per il clima elettorale in Usa) ma
è molto importante che l'America esca dalla sindrome dell'incidente del
Columbia, che si riscatti dal declino del suo programma spaziale. Se gli
americani si impegnano davvero per un obiettivo ambizioso di politica spaziale,
l'Europa è già in grado di giocare la sua parte, di partecipare allo sforzo
scientifico e industriale planetario.
Ma è davvero possibile per noi umani arrivare
fino a Marte? Le difficoltà sono tante, ma a tutte si possono immaginare delle
risposte tecnologiche, che vanno studiate, provate, sviluppate. La più insidiosa
mi sembra quella più impalpabile, la radiazione ionizzante del sole, che pervade
lo spazio extra-atmosferico. Mi tornano in mente alcuni strani flash da me
percepiti a bordo di Atlantis, ora in un occhio, ora nell'altro, provocati
proprio dalle radiazioni che già alla quota dello shuttle sono molto più intense
che a terra.
Il nostro sole, assieme alla luce e
all'energia che ci fa vivere, spara continuamente nel cosmo un enorme micidiale
sciame di particelle ad alta energia, ionizzanti - il vento solare - che si
propaga nel cosmo alla velocità di un migliaio di chilometri al secondo e che
investe tutti i pianeti; sul suolo terrestre non ne siamo toccati perché lo
sciame è deviato dal campo magnetico della terra ed assorbito dall'atmosfera.
Marte invece non ha alcun magnetismo e, senza formidabili protezioni, lassù ci
prenderemmo un centinaio di lastre a raggi X al secondo.
* astronauta
La Gazzetta del Mezzogiorno