L’OMINO VERDE

di

Margherita Campaniolo

 

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Tra le varie tematiche settimanalmente affrontate da una nota trasmissione televisiva documentarista ci si occupò d’analizzare l’argomentazione: "Che vita è possibile trovare sugli altri pianeti?".

Per dare una risposta a questo interrogativo vennero illustrate ed analizzate varie ipotesi alla luce delle moderne teorie sulle condizioni indispensabili a che la vita possa svilupparsi, presi in esame gli studi effettuati sui reperti meteorici e stellari caduti sulla terra e quelli, sia reali che fotografici, tratti dalle sonde interplanetari e che giornalmente c’inviano una grande quantità dati riguardo ai corpi celesti visitati o semplicemente osservati.

Ad analisi ultimata, il presentatore della trasmissione, nel trarre le conclusioni, asseriva :<<Sarà possibile trovare vita in altri pianeti ma molto probabilmente non il tipo di vita che solitamente i registri e gli scrittori di fantascienza ci presentano nelle loro opere. Vita perciò unicellulare, vita ad uno stadio iniziale, batteri, alghe, ma non i famosi "Omini Verdi". L’Omino Verde non esiste!>>.

Che cos’è l’Omino Verde? Nell’immaginario comune l’Omino Verde costituisce, come assunto collettivo consolidato, la rappresentazione fantastica di una razza aliena di provenienza non sempre identificabile, un assunto così radicato che, neanche le ultime produzioni fantascientifiche, pur preferendo sostituire al colore verde un più impersonale grigio, sono riuscite a sradicare.

E’ evidente che di stereotipo e luogo comune si tratti ma a questa immagine irreale, col tempo, ci si è affezionati.

Verde o grigio che dir si voglia, la frase non lascia spazio alla reale esistenza di "intelligenze aliene" e chi, vuoi per sensazione, per esperienza, per studi, per ipotesi è convinto invece che qualcosa di ben più "biologicamente strutturato" nell’universo ci sia, oltre che a batteri ed esseri unicellulari, ha provato un certo disappunto nell’ascolto di frasi così nette e prive di dubbi. Prova ne è che già dall’indomani della messa in onda della citata trasmissione, su un noto portale internet, "NotizieUfo", un ascoltatore lamentava questa "infelice battuta" sugli Omini Verdi, come una mancanza di apertura mentale verso scenari, sì ancora apparentemente improbabili ma, a suo avviso, non impossibili.

Reale la frase, comprensibile il disappunto ma io, che la stessa trasmissione ho seguito, ho focalizzato la mia attenzione su una nota aggiuntiva dello speaker stesso che, senza più intento ironico, faceva risalire l’espressione "Omino Verde", all’Inghilterra dei primi del novecento ad opera dello scrittore Edgar Rice Burroughs.

Ciò mi ha subito stupito, Edgard Rice Burroughs? Dai miei ricordi adolescenziali Burroughs è stato per me il papà fantastico delle avventure di Tarzar, "Signore delle scimmie" ma di questa paternità riconducibile ad esseri di "color smeraldo" non ero proprio a conoscenza!

Incuriosita ed affascinata, fu spontaneo effettuassi una piccola ricerca sull’argomento che qui di seguito cercherò di mettere per iscritto a beneficio di chi, sugli "Omini Verdi" ha una "curiosità etimologica" identica alla mia.

Il mondo letterario della fantascienza, non vi nascondo, non m’aveva mai particolarmente attratto, legata a voli fantastici della mente più assimilabili ai sogni salvifici delle cantiche dantesche o ai viaggi dell’Ariosto sulla Luna in cerca del senno dell’Orlando; lo faccio adesso, con grande rispetto, scoprendo un genere ricco di "storie" e non certo di letteratura "minore".

Hugo Gernasback definiva la fantascienza come un genere fatto di "….romanzi affascinanti mescolati a fatti scientifici e visioni profetiche", di contro, Darko Suvin un genere "…la cui condizione necessaria e sufficiente è la presenza di interazione fra estraneamento e conoscenza con una struttura immaginaria alternativa all’ambiente dello scrittore".

Orson Welles riconduceva il genere Science Fiction a "Favola dell’era atomica" e lo scrittore francese Claude Yelnick ne parlava come "Narrativa del Condizionale".

In quanti altri modi è stata definita la fantascienza? Falsa scienza, fantascemenza (sì, è stato detto anche questo!), un tutt’uno con dischi volanti, futurologia….Punti di vista, opinioni opinabili o condivisibili, in ogni caso, ciascuno di questi, fornisce, secondo me, una definizione assolutamente parziale.

Mi viene da pensare alle fantastiche avventure letterarie che vedono la Luna come ambiente principe: forse l’essere stati sulla Luna e conoscerla a menadito ha trasformato questi scritti in qualcosa di superato, facendone perdere in fascino? Assolutamente no. Esiste un luogo che si chiama Luna e che è nella nostra mente; questo luogo non perderà mai quella dimensione da sogno data dal nostro io. Il mio sguardo alla Luna non è mai "condizionato" dalla visione della prima passeggiata del 1968, il fascino lunare resta immutato, la sua capacità di produrre in me voli pindarici, intatta. Ecco perché la Science Fiction è, e resta, a mio avviso, "solamente" un genere letterario, un’occasione per esprimere il mondo interiore, i desideri e le paure dell’uomo; nient’altro, e non è certo poco, anzi, è un "tutto qui" che lascia libero ciascuno di noi di vederci favole, profezie, dati scientifici, dischi volanti, revisionismo tecnologico ecc….espressi in un modo che è estremamente consono alla natura umana, la dimensione del racconto, dare storia a ciò che storia ancora non è in quanto epoca a venire o a non divenire mai!

Entrare nel mondo fantascientifico di Burroughs, nella sua avventura marziana, certo scritta quando Marte era ancora "l’eterno sconosciuto", il luogo in cui si concentravano le fantasie popolari dell’epoca su possibili extraterrestri, e farlo oggi, quando esiste un progetto NASA, il Progetto Mars Odyssey, che prevede per il 2019 il primo sbarco umano sul pianeta, non è un modo per vivere "l’ultima chance del sogno marziano".

A tal proposito, con estrema modestia, mi sento di condividere le parole della scrittrice di Science Fiction, Leigh Brackett, famosa per aver scritto un ciclo di storie marziane ma forse, nota ai più, per la sceneggiatura de "L’impero colpisce ancora" della prima trilogia del Guerre Stellari di Lucas. In occasione della visione delle prime e desolanti immagini trasmesse dalla sonda Mariner 4 e riprendenti il "Pianeta Rosso", la Brackett dichiarò: <<Continuo a vedere il mondo dei deserti, dei letti dei Mari Morti, il mondo ch’è stato verde e fiorente un tempo, il mondo delle antiche civiltà dei Canali Inferiori….quel Marte che non sparisce….perché quel Marte io lo conosco, l’ho visto, vi sono stata ed esiste tutt’ora, forse in un altro angolo dello spazio e del tempo…>>.

Finchè l’uomo avrà la capacità e la voglia di viaggiare con la mente, le storie della Brackett, del Wells, di Poe, di Verne, di Doyle, di Burroughs (per citare solo alcuni "padri" di questo genere) avranno sui lettori un fascino immutato.

Ma torniamo alla nascita degli Omini Verdi e alla loro vera patria, perché se è vero che quest’espressione oggi indica, ed include genericamente, qualsiasi extraterrestre, nell’intenzione dell’inventore di questa razza, appunto il Burroughs, la denominazione intendeva indicare una popolazione di esseri abitanti esclusivamente il pianeta Marte.

Marte, ovvero Ares, dio greco della guerra, il pianeta Rosso; probabilmente questa sua caratteristica colorazione incise, nei secoli passati, sulla denominazione datagli ma se penso a cosa è stato Marte per il Burroughs, nella sua vicenda umana più che in quella d’artista, mi piace abbinare Marte alla ben meno nota radice latina di questo nome, secondo cui, il corrispettivo dio romano, non aveva nulla a che vedere con la belligeranza ma indicava una divinità protettrice dell’agricoltura e perciò dei frutti utili al sostentamento dell’uomo. Ebbene, senza Marte, senza le sue avventure marziane, Burroughs non sarebbe mai diventato ciò che poi diventò, non avrebbe mai scritto ciò che successivamente scrisse, in quanto, è solo grazie all’inaspettato successo delle avventure del suo primo libro di Science Fiction, UNDER THE MOONS OF MARS - Sotto le lune di Marte, (detto anche A Princess of Mars), se decise di recedere dall’intento di porre fine alla sua vita, così priva di soddisfazioni e di riconoscimenti.

Le avventure marziane, con i suoi Omini Verdi, produssero infatti "frutti" insperati, una vera messe di successi, in un momento in cui, dopo essersi cimentato in innumerevoli attività assolutamente diversificate tra loro (militare, operaio, cercatore d’oro, venditore ambulante di dolciumi, narratore, contabile….) e tutte prive di soddisfazioni, il suicidio era parso al Burroughs, l’ultima via d’uscita da quella vita insoddisfacente, l’unico modo per terminare l’esistenza terrena con dignità.

Quando Burroughs morì, nel 1950, e per cause assolutamente naturali, aveva venduto non meno di duecento milioni di copie dei suoi libri ed accumulato un patrimonio di oltre dieci milioni di dollari…..e tutto grazie alla geniale idea di quegli esseri verdi abitanti il pianeta dedicato al mese di marzo, il mese della primavera astronomica come della sua personale "rinascita"!

Il primo a sorprendersene fu egli stesso: non aveva svolto studi regolari, oltre a quelli dell’obbligo scolastico e questo fatto, (statisticamente assolutamente ininfluente nei risultati letterari in cui spesso fantasia, sensibilità ed estro sopperiscono egregiamente ad un non certificato bagaglio culturale) lo portò a non credere nelle sue reali capacità narrative, tanto e vero che, "Sotto le lune di Marte" andò in stampa con lo pseudonimo di Normal Bean (tipo qualunque).Era il 1917 e certamente le visioni e le avventure vissute dal protagonista di "Sotto le lune di Marte", il Capitano John Carter, dovettero apparire agli inglesi del tempo, siamo in epoca vittoriana, come assolutamente "fantascientifiche". La

"novità" di quei personaggi, a contorno di storie, per il tempo, così inusuali, dovettero sembrare frutto di una mente delirante e con uno spiccato senso dell’orrido (non dimentichiamo infatti che è con Burroughs che si ha il primo libro di SF). In Sotto le lune di Marte, prendono vita diverse tribù di Uomini Verdi (e perché poi ci ostiniamo a ricordarli come omini se erano colossi alti più di quattro metri?), Scimmie Bianche e Uomini Rossi, nonché tutta una serie di strane piante ed animali come, ad esempio, un mostruoso…. diciamo cane da guardia? Non saprei come definirlo altrimenti! Grande più o meno come un pony Shetland, dotato di dieci corte zampe, una testa vagamente ricordante una rana e di una mascella munita di tre file di zanne acuminate. Certo gli autori di SF d’oggi, così come molti lettori, forse sorriderebbero o magari sbadiglierebbero nel leggere le storie di Burroughs, le cui vicende, e i cui personaggi, possono sembrare ben poca cosa rispetto ai mostri d’odierna invenzione ma quanto fascino vi è in quelle avventure!

Un romanzo realistico dipinge un’epoca, il periodo in cui l’autore s’esprime; un romanzo fantascientifico dipinge la capacità di sognare d’un autore che s’esprime certo in relazione al periodo in cui egli è vissuto. Perciò i sogni di Edgar R. Burroughs, che possono adesso apparire quasi puerili, sono certo fantasmagorici se riferiti all’epoca in cui egli è vissuto ma non è tutto: nei romanzi di Burroughs e nelle sue "invenzioni" c’è pur sempre un che di geniale che supera lo stile ormai obsoleto e lo "assolve" da ogni possibile accusa di mediocrità.

C’è in lui e nel suo romanzo una capacità particolare di coinvolgere il lettore fin dalle prime battute dove l’autore stesso si trasforma in personaggio, esecutore testamentario del Capitano di mille avventure, J. Carter, nonché curatore della sua strana sepoltura secondo imperscrutabili volontà:

Aveva sistemato le sue proprietà in modo tale che io

ne avrei ricevuto tutti i profitti per i prossimi venticinque anni,

dopo di che sarebbero diventate mie a tutti gli effetti.

Le altre istruzioni riguardavano questo manoscritto,

che avrei dovuto lasciare sigillato senza leggerlo,

così come l’avevo trovato, per undici anni;

inoltre, non avrei dovuto divulgarne il contenuto

finché non fossero trascorsi ventun anni dalla sua morte.

Una strana caratteristica della tomba, dove giace ancora il suo corpo

è che la massiccia porta è fornita di un unico, gigantesco lucchetto

placato d’oro, che può essere aperto soltanto dall’interno.

Il vostro devoto Edgar Rice Burroughs.

 

C’è una voglia, sempre e comunque, di esaltare la terra e quanto di buono è negli umani, come la capacità di fare il bene, di instaurare contatti, di crescere culturalmente e lo dimostra dipingendo un Marte dominato da un’orda di Omini verdi che, a seguito di un processo di involuzione, ha dimenticato tutto ciò, che pur ha fatto parte del proprio passato, e ha costretto, ad un lento ed inesorabile decadimento, un intero pianeta. Della magnifica e fiorente cultura passata, Jhon Carter trova le vestigia e la testimonianza in fantasmagorici palazzi, ormai musei a cielo aperto, città fantasma, una fanta-archeologia all’interno di storie di fantascienza come un monito a ciò che potrebbe un domani succedere alla stessa terra.

Nonostante il cortile fosse completamente ricoperto di vegetazione gialla….numerose fontane, statue,….testimoniavano ancora della bellezza che doveva aver incarnato per quel ridente popolo…che le dure, inalterabili leggi cosmiche avevano cacciato non solo dai palazzi, ma anche dalla storia, eccettuate alcune vaghe leggende bisbigliate dai suoi discendenti……..Poi tutto era precipitato in un baratro di ère oscure, crudeli, ignoranti, finché il loro istinto atavico…. Era riemerso…..nella razza finale, composita, che ora dominava Marte.

C’è un’immaginazione fervida e che ha lasciato il segno se ancora oggi, per indicare un extraterrestre, si ricorre ai suoi Omini Verdi:

….e sei gambe o, come appresi più tardi, due gambe, due braccia e due arti intermedi che potevano essere usati a volontà sia come braccia che come gambe. Gli occhi erano sistemati ai lati opposti della testa….e sporgevano in modo da poter essere diretti…indipendentemente l’uno dall’altro senza girare la testa. Le orecchie….accostate…piccole, come due antenne concave. Il naso una semplice fessura longitudinale al centro del volto….Non c’era traccia di pelo nel loro corpo, d’un pallidissimo giallo verde (nei piccoli) …Negli adulti…il colore s’incupiva fino a diventare verde oliva, più scuro nei maschi che nelle femmine. L’iride rosso sangue…nera la pupilla……le zanne inferiori si piegavano verso l’alto….dove gli uomini hanno gli occhi…contro lo sfondo scuro verde oliva,….risaltavano in modo sorprendente…

E c’è una speranza che non muore, un desiderio di fratellanza non solo interna al pianeta e che, grazie a Carter, si realizza tra tribù marziane un tempo nemiche, ma anche cosmica, nella struggente e travagliata storia d’amore tra una marziana e un terrestre, tra la Principessa Dejah Thoris e il Capitano, un amore che esprime il profondo legame tra due pianeti, Terra e Marte, da sempre così vicini eppure così lontani:

I miei occhi videro un nuovo cielo e un nuovo paesaggio. Le argentee montagne in lontananza, la Luna quasi immobile nel cielo, la valle cosparsa di cactus sotto di me non erano di Marte.

……………………..

Sopra di me splendeva l’occhio rosso di Marte che mi nascondeva il suo orribile segreto a settanta milioni di chilometri di distanza.

……………………..

Per dieci anni ho pregato aspettando una risposta. Per dieci anni ho atteso e pregato di essere ricondotto sul mondo del mio amore perduto.

….Posso vederlo risplendere nel cielo attraverso la piccola finestra accanto alla mia scrivania, e questa notte sembra chiamarmi di nuovo, come non mi ha mai più chiamato da quella notte perduta nel passato e mi sembra quasi di vedere, attraverso quell’orribile, abisso di vuoto,………..mentre lei indica nel cielo un pianeta luminoso, la Terra.

………….

FINE

 

 
   

Data: sabato 14 giugno 2003, 13.33.31

Autore: Margherita Campaniolo

 

 

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