Il coraggioso “eroe” o il "pazzo scatenato", è il fisico Ron Levin che
si occupa, per la Lockheed, dell’elaborazione delle immagini del JPL
insieme all’Assistente tecnico Daniel Lyddy. La ricostruzione
stereoscopica di alcuni scatti di Opportunity mostra zone bluastre che
appaiono perfettamente piane e con superfici così regolari che il
computer non è in grado di trovare punti di riferimento utili alla
sovrapposizione di due scatti della stessa zona. Questi tratti di
terreno così particolari, risultano essere più profondi e bassi dei
circostanti ed inoltre appaiono come trasparenti poiché, attraverso
essi, sembra di scorgere rocce e sassi sotto la loro superficie, come
accade, appunto, per rocce e sassi sommersi da un liquido incolore.
Questi dati portano Levin ad affermare che è come vedere l’effetto
prodotto da acqua o da uno strato molto chiaro di ghiaccio ma che, a
conferma dell’ipotesi ghiaccio, non dovremmo avere la presenza costante
di bordi netti alla stessa altezza (come invece accade) e costatare
l’esistenza di residui di materiale e sabbia. Anche al JPL c’è chi
condivide, come Michael Hecht che, insieme ad altri ricercatori,
concorda nel dire che i calcoli effettuati porterebbero ad affermare la
possibilità concreta dell’esistenza di piccole zone di superficie in cui
potrebbero formarsi pozze d’acqua e non solamente brevi percolazioni
liquide, dalla vita brevissima, come dimostrato di recente
dall’osservazione di immagini che riprendono, a più riprese e a distanza
di anni, di fianchi di crateri o monti marziani.
Fino ad oggi non era mai stata annunciata la presenza di segni di acqua
liquida in superficie e i risultati di Levin, che verranno presentati
alla fine del 2007 ad un congresso di “Electrical and Electronics
Engineers” dell’istituto Lockheed, sono una vera notizia bomba, una
bomba che ha già cominciato ad avere i suoi effetti e le sue aspre
critiche.
Phil Christensen, dell’Arizona State University, ritiene che non è tanto
la temperatura quanto l’atmosfera di Marte ad impedire che ciò accada,
provocando il quasi immediato passaggio allo stadio di sublimazione
dell’acqua liquida. Ammette che è teoricamente possibile il formarsi di
acqua liquida sotto terra ma, sopra la superficie? Possono esistere
circostanze particolari in cui formarsi? Christensen ritiene che una di
queste potrebbe essere la totale mancanza di vento, fatto che
consentirebbe una evaporazione meno repentina ma, nel contempo, dichiara
non realistica tale circostanza.
Provare anche solo ad immaginare la portata scientifica e la risonanza
che le affermazioni di Levin possono avere è da capogiro, riaprirebbe
uno scenario totalmente nuovo sul “discorso Marte” e sulle ipotesi di
organismi marziani.
Alle critiche Levin ribatte per niente intimorito affermando che non è
impossibile esistano zone, sulla superficie marziana, in cui si vadano a
creare le condizioni ideali per la comparsa di pozze d’acqua, alla
giusta temperatura e a riparo di venti, come l’interno di crateri,
durante i mezzogiorno dell’estate marziana ma anche a temperature meno
elevate.
Opportunity è adesso impegnato su altri fronti ma Levin lancia la sfida:
basta condurlo nella zona delle “pozze” e consentire al robot di agire,
su quelle superfici, con il suo trapano: se non si tratta di acqua
avremo un bel buco ma se buco non si dovesse formare…
Un atteggiamento risoluto, quello di Levin, e che probabilmente ha
origini lontane. Suo padre, Gilbert Levin, era “Principal investigator”
della missione Viking Mars lander, quella che in prima analisi diede
conferma della presenza di vita su Marte, notizia sconfessata da
ulteriori analisi che portarono gli scienziati a negare la realtà di
presenza di materiale organico sul pianeta rosso, supportati dalla
teoria dell’impossibilità di presenza alcuna di acqua liquida sul suolo
marziano, con strascichi e polemiche che si trascinano da più di 30
anni.
Gilbert Levin non ha mai smesso di credere in quei dati e deve essere un
“fuoco” che ha coinvolto e “contagiato” anche il figlio Ron, nella
ricerca di un riscatto ma anche di una verità acquisita. Estremamente
interessante l’articolo scritto da entrambi già nel 1998 dal titolo
“Acqua liquida e vita su Marte” (Instruments, Methods, and Missions for
Astrobiology, SPIE Proceedings, 3441, 30-41, July 1998) che riprendeva
tutte le obiezioni mosse alle prime analisi del 1976 del Viking.
Noi speriamo i Levin trovino pubblici consensi… la bottiglia è già in
fresco!