Intervista con Denis Guedj, autore del romanzo «La chioma di Berenice» (Longanesi). Il protagonista è Eratostene, il sapiente che riuscì a misurare la circonferenza della Terra «Alessandria d'Egitto, culla di cultura» |
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Da oltre quindici anni, Denis Guedj - matematico e docente all'Università di Paris VIII - racconta con passione e successo grandi storie legate alla matematica. Il primo romanzo, «Il Meridiano», narrava le rocambolesche avventure di due astronomi che, in piena rivoluzione francese, misurarono il meridiano di Parigi per ricavarne il metro campione. Nel suo nuovo romanzo, «La chioma di Berenice» (edito da Longanesi), il protagonista è Eratostene, il direttore della Biblioteca di Alessandria, che nel terzo secolo a.C. misurò con stupefacente approssimazione - data l'epoca e i mezzi - la circonferenza della Terra. Denis Guedj, in Italia per presentare il romanzo, risponde volentieri alle nostre domande. Quali difficoltà - gli chiediamo - ha incontrato durante la stesura di questo libro? «Al di là dei due anni di ricerche, "La chioma di Berenice" ha comportato problemi di varia natura. Le faccio un esempio: i libri dicono che Eratostene effettuò la misurazione della Terra calcolando l'arco di circonferenza tra Alessandria e Assuan, ma non dicono in quale modo. Durante la stesura del romanzo dovevo chiedermi in continuazione "come". Come misuravano questo percorso? Gli storici non sono in grado di dirmelo, ma approfondendo le ricerche ho scoperto che nell'esercito di Alessandro Magno, esisteva il bematista, un uomo che contava i passi, per programmare adeguate tappe di spostamento dell'esercito. Era un bematista che, seguito in barca da Eratostene, camminava lungo il Nilo e contava i passi. Ma per quante ore camminava? C'era qualcuno che lo aiutava a tenere il conto? Chi forniva i viveri alla spedizione? E chi la scortava? Insomma, c'erano molti quesiti, e se volevo dare uno spessore credibile al romanzo dovevo risolverli. Dovevo ricreare davanti agli occhi del lettore l'intero affresco della vita quotidiana dell'epoca, compresa quella dei regnanti». Lei considera i suoi romanzi fiction reali, ossia narrazione romanzata di verità storiche. Come può il lettore distinguere gli elementi reali da quelli immaginari? Ad esempio, qual è la parte reale de «La chioma di Berenice»? «Al di là di Teofrasto, figura immaginaria che mi dà una coerente libertà di movimento all'interno della trama, tutto il resto è documentato storicamente. I miei personaggi - in questo caso, Eratostene e i suoi contemporanei - sono reali e il 99% di ciò che scrivo corrisponde a verità. I miei romanzi funzionano come esercizi di matematica. Ho due punti veri, all'inizio e alla fine del percorso, uniti da una linea di qualsiasi forma. I punti di questa linea corrispondono alle fasi del mio racconto. Nessuno può dire che siano falsi, e io non posso affermare che siano veri, ma tutto è coerente, tutto è verosimile. Proprio come in matematica. Nessuno sa se Eratostene fosse sposato, perciò io non gli do moglie. Non ho bisogno di scrivere bugie per fare sembrare più vera la verità. Non è il caso di inventare. Basta narrare ciò che si è scoperto: ci si guadagna in fedeltà e si fa meno fatica». È vero che «La chioma di Berenice» diventerà un film? «Sì. Salvo imprevisti. D'altronde, la vicenda narrata si presta bene per almeno due motivi. È favorita dalla diffusa egittomania e, in secondo luogo, ha tutti gli ingredienti necessari: amore, morte, intrighi, la scienza, il Nilo, le Piramidi. Pensi che all'inizio doveva essere una sceneggiatura e in un secondo tempo l'ho trasformata in romanzo. Sarà un ritorno alle origini». Dal romanzo emergono con forza due grandi istituzioni culturali dell'epoca: la Grande Biblioteca di Alessandria e il Museion, veri centri propulsori del sapere. Non pensa che chiunque lavori nel mondo culturale di oggi, provi invidia per il prestigio e le disponibilità economiche di cui godevano le istituzioni culturali di Alessandria? «Credo di sì. Quello fu uno dei grandi momenti della storia della cultura. Un periodo d'oro. Non ce ne sono molti altri: forse il Rinascimento italiano e la Grecia dei filosofi. E se si osserva con attenzione si potrà notare che la pratica della cultura, per come la viviamo oggi, somiglia più a quella del periodo di Alessandria che non a quello greco».
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Data: 29/01/2004 Autore: Riccardo Di Vincenzo Fonte: GAZZETTA DI PARMA |
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