Venezia - L'apertura dei lavori, dopo i saluti introduttivi
di Howard Moore, dell'Unesco, e di Giorgio Bernardi e
Ernesto Carafoli, è toccata ieri mattina di diritto al Nobel
per la medicina (1974) Christian de Duve, che ha demolito la
teoria creazionista dell'unicità della vita progettata da un
disegno intelligente. Secondo lo studioso inglese anzi,
«date certe condizioni fisico-chimiche la vita non poteva
non avere origine». Il fatto è che i due principali fattori
che determinano l'evoluzione della vita sulla terra sono,
secondo de Duve, la chimica e la selezione: e «la prima
obbedisce unicamente alle leggi deterministiche, mentre la
seconda, sebbene governata dalla contingenza, sembra operare
nella direzione dell'ottimizzazione». Ed essendoci
nell'universo un numero sterminato di possibilità, era
inevitabile che prima o poi, da qualche parte, scoccasse la
scintilla della vita.
Un'asserzione da cui ne deriva, necessariamente, un'altra:
nell'universo non siamo soli. «Noi conosciamo solo una vita,
la nostra - precisa il Premio Nobel - e tutto il resto sono
speculazioni. Ma le probabilità si possono calcolare, a
partire dal fatto che esistono nella nostra galassia 30
miliardi di stelle come il sole, e che esistono
nell'universo 100 miliardi di galassie. Significa che
esistono 3mila miliardi di miliardi di soli, alcuni dei
quali (possiamo calcolare l'1\%) circondati da un sistema di
pianeti. La questione è quanti di questi pianeti presentano
condizioni paragonabili a quelle della terra - come
l'esistenza di acqua allo stato liquido e di un'atmosfera, e
una vicinanza "giusta" dalla propria stella - favorevoli
allo sviluppo della vita. Su questo i pareri degli
specialisti variano moltissimo, ma anche nelle valutazioni
più pessimistiche le possibilità rimangono alte».Considerazioni
che fanno dire a Carafoli «a me basta per pensare che non
siamo soli, e che - come sosteneva Leibniz, filosofo e
scienziato del Seicento - vari mondi sono possibili». E qua
ci fermiamo, perchè come ricorda ancora lo studioso padovano
citando Kant, «la mente umana è finita, e non può pensare
l'infinito».