LE FRONTIERE DELLA SCIENZA

Nel 1974 dalla Terra fu inviato il primo segnale verso lo spazio nell’ambito di un progetto avviato negli Usa dalla Nasa. In Italia il punto di ascolto per eventuali risposte è la stazione di Radioastronomia di Medicina, nel Bolognese, di cui è responsabile l’ingegner Montebugnoli

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Caccia alla vita nell’Universo

 
   

Funziona senza sosta da oltre trent’anni la «grande radio» accesa sull’Universo per captare le voci di un’eventuale civiltà extraterrestre. Si tratta di una rete di radiotelescopi dislocati in tutto il mondo. Il programma si chiama «SETI», «Search for extraterrestrial intelligence», cioé ricerca di forme di intelligenza extraterrestre. È un programma avviato negli Usa dalla Nasa negli anni Settanta. Ma le reali osservazioni radio sono iniziate solo nel 1992.
Si basa sull’uso di grandi radiotelescopi che passano al setaccio le microonde provenienti dallo spazio alla ricerca di segnali radio emessi da eventuali civiltà extraterrestri. Il programma, sospeso dal Congresso americano nell’ottobre 1993 per carenza di fondi, è ora gestito dal Seti Institute che opera sulla base di contributi volontari da parte di industrie e privati.
Oggi il Seti è presente anche in Italia. Il responsabile è l’ingegner Stelio Montebugnoli, 56 anni, responsabile della stazione di Radioastronomia di Medicina (Bologna) dell’Istituto di Radioastronomia dell’Inaf (Istituto nazionale di Astrofisica).

Professor Montebugnoli a chi è venuta per primo l’idea di ascoltare l’Universo con il radiotelescopio?
«Tutto nasce con un articolo scritto dai fisici Giuseppe Cocconi e Philip Morrison del 1959. Cocconi e Morrison sostenevano che le frequenze di trasmissione migliori per le comunicazioni interstellari fossero quelle tra 1 e 10 gigahertz. Questa frequenza radio è la meno disturbata dal rumore cosmico. All’interno si predilige l’intervallo compreso tra l’emissione dell’idrogeno neutro (H) e dell’ossidrile (OH) (cioé fra 1,4 e 1,6 GHz). La scelta si basa sull’ipotesi secondo la quale se una civiltà extraterrestre cercasse di mettersi in comunicazione con altre, probabilmente trasmetterebbe un segnale monocromatico nelle vicinanze di queste frequenze».

 
Qual è la premessa su cui si basa la ricerca Seti?
«Se un ipotetico radioastronomo alieno trovasse "appiccicato" un segnale monocromatico alla frequenza emessa dall’idrogeno, oppure se tale segnale venisse casualmente individuato qui sulla Terra, ci si chiederebbe subito che cosa ci fa attaccato all’idrogeno quel "corpo estraneo", visto che in natura una tale combinazione non esiste».


Dalla Terra sono partiti segnali monocromatici verso lo spazio?
«Sì. Una volta sola: nel 1974 ad Arecibo per opera di Frank Drake, con l’invio di un segnale di 10 megawatt di potenza. Non mi chieda quanti soldi è costato perché non si è mai saputo, comunque tanti. Speriamo che qualcuno sia in ascolto per ricevere quel segnale, però, questo qualcuno dovrebbe tenere puntate le proprie antenne radio nell’esatta direzione, nella giusta finestra temporale e con una strumentazione elettronica adatta».


Visto che in tutto il nostro Pianeta non ci sono soldi per spedire segnali nello spazio, come si lavora al Seti?
«Si lavora in "modalità passiva", con il Serendip IV. Si tratta di uno strumento "parassita" che opera in parallelo alle normali operazioni svolte dal radiotelescopio: una frazione del segnale radio ricevuto viene inviata al sistema Serendip IV che cerca 24 ore su 24, la presenza di un segnale di chiara origine extraterrestre. Ciò permette di effettuare questo tipo di ricerche a costo zero».


Che cosa succederà se tra dieci anni il risultato sarà ancora zero?
«Semplicemente che abbiamo sbagliato la direzione oppure la finestra temporale o la frequenza oppure entrambe, sempre che la tecnologia sia quella giusta. Lavoriamo tenendo sempre presente il motto di Martin Rees: "La mancanza dell’evidenza non significa l’evidenza della mancanza". Questo implicherebbe il dovere comunque di continuare le osservazioni».


Da 80 anni c’è la radio e da oltre mezzo secolo la tv. Questi segnali stanno viaggiando nell’Universo. Possono essere agganciati da intelligenze aliene?
«Sì, possono essere intercettati. Però chi li intercetterà si troverà in mano un frammento piccolissimo di sequenza e non saprà da dove proviene. Quindi dovrà individuare la fonte, capire di che cosa si tratta e partire dalla decodificazione del nostro linguaggio».

 
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