Martin Rees

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Di sé Martin Rees, brillante astrofisico intervistato qui accanto, scrive: «Sono cresciuto in una zona rurale dell’Inghilterra... Non posso dire di aver nutrito, da bambino, uno speciale entusiasmo per la scienza... Non ho mai costruito il mio telescopio o il mio piccolo osservatorio». Tre pagine dopo soggiunge: «Nel 1972, poco più che trentenne, divenni docente alla Sussex University, una nuova università fondata negli Anni 60. Pensavo di restare lì qualche anno, ma quando Hoyle rassegnò le dimissioni da Cambridge, fui nominato suo successore. Perciò, dopo poco più di un anno, tornai a Cambridge (...) Tra il 1973 e il 1992 ho tenuto la cattedra che era stata di Hoyle e ancor prima di Eddington». Colpiscono due cose: il tono sommesso del grande scienziato; il balzo, così agile ed elegante, a una delle cattedre più prestigiose. Colpiscono per contrasto con la supponenza di certi nostri scienziati e con la macchina oscura e collusoria delle carriere universitarie italiane, benché qui non si trami per un posto a Cambridge ma, talvolta, a Camerino. Fonte di queste citazioni è il libro di Martin Rees «La lucciola e il riflettore» (Di Renzo Editore, 94 pagine, 10,50 euro). Un intreccio di autobiografia, aneddoti, e commenti sugli ultimi sviluppi della ricerca in fisica e in astrofisica. Dove si sente come la curiosità di Rees stia un poco virando: l’universo è lo scenario meraviglioso, ma sul palcoscenico c’è l’uomo (o, più in generale, la vita), ed è lì la cosa davvero interessante: «Gli esseri umani - fa notare Rees - sono a metà strada tra il macrocosmo e il microcosmo. Ci vorrebbero tanti corpi umani, per fare la massa solare, quanti sono gli atomi di cui siamo fatti. In effetti, non solo è vero, ma è anche preciso: se si prende la media geometrica tra la massa di una stella e la massa di un atomo, si ha un valore di 55 chilogrammi, cioè all’incirca la massa di un individuo medio. Quindi, le cose più complesse dell’universo sono intermedie tra macrocosmo e il microcosmo».
Questa visione ampia, mutuata da maestri come Fred Hoyle e Dennis Sciama (che non a caso fu anche il maestro di Hawking) è dominante nel saggio «Il nostro ambiente cosmico» (Adelphi, 226 pagine, 18,50 euro), dove Rees accompagna il lettore fino alla frontiera dei problemi più recenti e ardui: l’accelerazione dell’espansione dell’universo (scoperta nel 1998), la massa e l’energia oscure, le vertigini del vuoto quantistico, l’ipotesi dei multiversi, cioè che esistano molti universi determinati da costanti fisiche diverse, non comunicanti tra loro. Irraggiungibili ma reali, in certo senso, grazie all’intuizione degli scienziati che hanno immaginato questa possibilità sulla base di teorie consolidate. L’interesse per gli attori sul palcoscenico dell’universo è ancora più evidente nel libro «Il secolo finale» (Mondadori, 210 pagine, 17 euro). Un repertorio di catastrofi che potrebbero distruggere l’umanità «nei prossimi cento anni». Qui sconcerta il lettore l’idea di Rees secondo cui le calamità più preoccupanti potrebbero avere origine proprio dalla scienza: un conflitto nucleare globale, una guerra biochimica, un errore commesso in qualche laboratorio biotecnologico, l’effetto serra antropico con una conseguente rivoluzione climatica, pandemie incontrollabili. Senza escludere killer naturali, come gli asteroidi che incrociano l’orbita della Terra.
I prossimi dinosauri, comunque vada, siamo noi.

 

 
   

Data: 23-02-05

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Fonte: La Stampa

Link: http://www.lastampa.it/_settimanali/tst/estrattore/tutto_scienze/art.asp

 
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