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LA PIU’ «PURA» DELLE SCIENZE IN UN LIBRO-INCHIESTA DI EMILIANO RICCI
Astronomi lontani dai telescopi

 


LA tradizione voleva l’astronomo con un look un po’ da mago, gli occhi incollati a un cannocchiale puntato verso i misteri celesti. Oggi molti astronomi non vanno neppure in cupola, il più delle volte analizzano al computer nastri registrati sotto guida automatica, o si occupano di simulare lontani e spettacolari eventi celesti legati all’origine dei pianeti o dell’universo intero, interpretano i dati trasmessi da una sonda spaziale o passano al microscopio sassi raccolti sulla Luna o scagliati via dal suolo di Marte. Al telescopio, a prendersi il freddo notturno stanno gli astrofili, con la passione del dilettante, ma anche qui con un armamentario ben diverso da un tempo, fatto di camere digitali e computer per elaborarne le immagini. C’è meno poesia, ma altrettanto appagamento. Però: chi diventa astronomo e perché? Per quali vie, salendo quali gradini? Che idea s’è fatta, lungo la strada, della ricerca? E come vede il mondo, l’universo delle stelle che si è consacrato ad esplorare? Se andassimo in giro a chiedere, non ne ricaveremmo risposte molto entusiaste: particolarmente per il conto in cui è tenuta oggi, in questo paese, la scienza "pura", ossia quella senza sbocchi immediati nell’utile, nella tecnologia applicata. C’è chi ha pensato a porre quelle domande e a registrare le risposte. Emiliano Ricci, divulgatore con solide basi, ha fatto un giro fra dodici illustri nomi dell’astrofisica d’oggi, cominciando da Carusi e Cevolani, per finire con la Coradini, Franco Pacini e la Hack, che ti sorride dalla copertina. Ne è uscito il libro "Professione astronomo", stampato da SciBooks di Pisa. Qui vorremmo soprattutto dare conto delle repliche raccolte, sostanziose e di vivace interesse, nel quadro di un dialogo senza remore. Bene: l’idea generale dei nostri ricercatori, talvolta giunti ai più alti traguardi di credito internazionale, è di non godere da noi, in quanto scienziati, del livello di fiducia sociale che meriterebbero. Non è un fatto di pura ignoranza, ma una sorta di moda, quella del dubbio e dell’eterodossia per non dire della pretesa degli organismi ufficiali di valutare tutto con l’ottica utilitaristica dell’«a che serve?». Naturalmente, non serve ad alcun fine immediato studiare una supernova o un "buco nero": ma proprio da questo cogliere negli spazi fenomeni non riproducibili sulla Terra sono nate alcune delle più importanti vedute della fisica alla base della comprensione della Natura. Storicamente, fu soltanto chiedendosi che cosa bruciasse il Sole che si giunse all’energia nucleare, importante oggi, irrinunciabile nel futuro. Viceversa dello studioso dei cieli ci si ricorda soltanto se appare una cometa spettacolare o se un asteroide va a spasso vicino al nostro pianeta: in quest’ultimo caso, soltanto chi sa di meccanica celeste potrà valutare l’eventuale pericolo. Ma è soprattutto dalla ricerca di base, quella valutata con tanta miopia, che verranno le ipotesi vincenti, i progressi più spettacolari.
 

 
 
 
 

Data: 14/9/2005

Autore: Luigi Prestinenza

Fonte: La Stampa

Link: http://www.lastampa.it/_settimanali/tst/estrattore/Tutto_Scienze/art3.asp

 

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