A occhio nudo è un
tenue batuffolino di luce, ma basta anche un piccolo strumento per
apprezzarne lo splendore. Posta a due milioni di anni luce di distanza
da noi, la galassia di Andromeda - nota anche con la sigla M31
assegnatale da Charles Messier intorno al 1770 - è l'oggetto più lontano
che riusciamo a scorgere a occhio nudo. Per gli astronomi, però, si
tratta di gran lunga della migliore occasione per studiare nei dettagli
un sistema stellare molto simile alla nostra Via Lattea.
Proprio lo studio di questa galassia è stato l'obiettivo delle ricerche
svolte dal team di Scott Chapman (California Institute of Technology) e
Rodrigo Ibata (Observatoire Astronomique de Strasbourg) i cui risultati
sono stati presentati nei giorni scorsi al convegno annuale organizzato
dall'American Astronomical Society. Il progetto dei due astronomi e dei
loro collaboratori era quello di determinare accuratamente il moto delle
stelle più periferiche di M31, stelle che si pensava appartenessero
all'alone galattico.
Le stelle osservate dal team sono state circa 3000 e di ciascuna, grazie
allo studio dello spettro ottenuto con il telescopio Keck II, è stata
ricavata la velocità radiale. L'accuratezza delle misure ha permesso di
risalire in modo assolutamente preciso al reale movimento della stella
rispetto alla galassia. Ne è risultato che le stelle prese in esame
orbitano intorno al centro galattico proprio come le stelle appartenenti
al disco. Questo significa che il disco stellare della nebulosa di
Andromeda è di gran lunga più esteso di quanto non si credesse finora.
Chapman e Ibata hanno dedotto che il diametro della galassia potrebbe
essere più di 220 mila anni luce. Tenuto conto che fino a ieri si
riteneva che il diametro di M31 fosse di 70-80 mila anni luce, le nuove
misure hanno praticamente triplicato le dimensioni del disco galattico.
Come mai un errore così grossolano? La spiegazione è semplice: senza
conoscere accuratamente il moto di quelle stelle non era mai stato
possibile riconoscere la loro appartenenza al disco. Inoltre bisogna
aggiungere che la distribuzione disomogenea delle stelle periferiche è
sempre stata interpretata come una sorta di alone aggiuntivo,
riconducibile alle galassie più piccole fagocitate in epoche passate da
M31.
Logico a questo punto chiedersi se la faccenda riguarda solamente la
galassia di Andromeda o se bisogna rivedere le misure anche per altri
sistemi stellari. Dal canto loro Chapman e Ibata hanno già messo in
preventivo di provare a guardarsi attorno. |
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