È caccia aperta alla
vita extraterrestre. Mentre i robottini continuano a cercare su Marte,
l’armamentario degli scienziati si sta per arricchire di un enorme
telescopio spaziale tra tre anni in orbita intorno al Sole. Si chiama
Kepler ed è stato presentato ieri sera al pubblico del Planetario di
Roma da Nagin Cox, la leggendaria ingegnere capo della missione che ha
portato i robottini della Nasa su Marte. Nagin Cox lavora al progetto
Kepler.
Che cosa vedrà il nuovo telescopio spaziale?
Centomila stelle in una volta sola. E tutti i loro pianeti, compresi
quelli più piccoli, dove è più probabile che esista la vita. Abbiamo già
scoperto circa 130 pianeti al di fuori del Sistema solare, ma si tratta
sempre di pianeti molto grandi, che difficilmente possono ospitare la
vita. Fino ad ora, infatti, la loro ricerca si è basata
sull’osservazione del movimento dei Soli dovuto alla presenza dei
pianeti e non su osservazioni dirette dei pianeti stessi. E gli unici
pianeti capaci di muovere i Soli in modo percepibile dai nostri
strumenti sono solo quelli grandi. Con Kepler si cambia metodo. Kepler
guarderà nella costellazione del Cigno, e per quattro anni osserverà i
transiti dei pianeti davanti ai loro Soli. Cioè registrerà la
diminuzione della luminosità delle stelle dovuta al passaggio dei
pianeti tra loro e il telescopio.
Quanto lontano è in grado di guardare Kepler?
Lontanissimo, basti pensare che delle centomila stelle che Kepler
osserverà contemporaneamente, da Terra a occhio nudo non riusciamo a
vederne nemmeno una.
Perché dobbiamo cercare proprio pianeti piccoli?
Perché, per come la conosciamo noi, la vita ha bisogno di alcune
condizioni essenziali, tra cui la presenza di acqua. I pianeti troppo
grandi sono composti da gas, come Giove. E anche quelli di dimensioni
inferiori, per avere acqua sulla loro superficie, devono essere a una
distanza dal loro Sole simile a quella che separa la Terra dal nostro
Sole.
E nel nostro Sistema solare queste condizioni sono presenti anche su
altri pianeti?
Marte ha molte caratteristiche in comune con la Terra. Infatti è su
questo pianeta che si stanno concentrando le ricerche. Le sonde che sono
atterrate sulla sua superficie nel marzo scorso hanno anche trovato
alcune prove della passata presenza di acqua allo stato liquido. È
importante dire che si tratta di acqua liquida, e non di ghiaccio o di
vapore acqueo, perché è solo nell’acqua liquida che può nascere la vita.
Per questo non è da escludere che Marte abbia avuto in passato tutte le
condizioni per lo sviluppo della vita, come è accaduto sulla Terra, ed è
ragionevole continuare a cercarne le tracce. Per chi, come me, ha
seguito il viaggio delle sonde e il loro arrivo sul Pianeta rosso, è un
momento davvero eccitante. Ma non sto parlando di dare la caccia a degli
omini verdi con le antenne! Sto parlando di raccogliere prove della
passata esistenza di forme analoghe ai nostri batteri.
Sarà possibile, un giorno, che anche l’uomo sbarchi su Marte?
Forse, ma si tratta di certo di un obiettivo ancora lontano. Credo che
non succederà prima del 2030 e mi immagino che sarà necessario unire le
forze in una grande spedizione internazionale, anche perché
l’investimento sarà davvero oneroso. Quanto all’idea che l’uomo possa un
giorno colonizzare Marte e renderlo abitabile, mi sembra che questa
sconfini nella fantascienza. |
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