Una volta ogni 500.000, 1.000.000 anni. Questo
quanto pensato fino ad oggi, dagli astronomi,
riguardo alla possibilità d'impatto, per la Terra,
con un asteroide o una cometa.
Pare
che questo dato temporale andrebbe ridotto, e di
moltissimo se, come afferma la dottoressa Dallas H.
Abbott ed il suo gruppo di studio, resti delle
conseguenze ben più recenti di tali impatti sono
visibili, studiabili, catalogabili e, soprattutto
databili, ad un periodo che rientra negli ultimi
10.000 anni.
L'Holocene
Impact Working Group composto dalla
Abbott della Lamont Doherty Earth Observatory of
Columbia University (USA), dal Dr. E. Bryant della
University of Wollongong (Australia), dal Dr. V.
Gusiakov dello Novosibirsk Tsunami Laboratory
(Russia) dal Dr. W. Masse, del Los Alamos National
Lab (USA), a seguito di osservazioni attraverso
Google Earth
delle coste oceaniche, nel rinvenire una particolare
conformazione di alcuni litorali i cui sedimenti si
dispongono a impronta quasi "stellare", a cuneo
verso l'interno, detti chevron, ha effettuato una
serie di esami su uno di questi particolari luoghi
per 150 chilometri lungo la costa meridionale del
Madagascar.
Sul luogo è stato chiaro come la disposizione dei
sedimenti non segue affatto le rotte dei venti ma si
trova esattamente in linea con una zona dell'oceano
Indiano dove la stessa Abbott ha trovato, nel 2005,
un cratere del diametro di 29 km posto alla
profondità di 4 mila metri. I sedimenti si spingono
ad un'altezza che, in alcuni punti, tocca i 205
metri sul livello del mare; le
altezze di rincorsa e penetrazione misurate verso
terra vanno ben oltre a quelle dei più grandi
tsunami tettonici
storicamente
conosciuti (d'origine sismica e/o vulcanica)
e la conformazione e composizione delle sabbie non
ha nulla a che vedere con le normali spiagge. Il
team ritiene che quel cratere, geologicamente
recente, si è formato da un impatto meteorico o
cometario tra i 5000 e i 4500 anni fa e che ha
generato un mega-tsunami
13 volte più devastante del recente indonesiano del
2004, con onde alte oltre i 600 piedi (200 metri
circa)
che hanno modellato la costa in quel particolare
modo riversando i suoi depositi.
Il cratere, chiamato Burckle, si
trova a circa 1500 chilometri a Sud Est del
Madagascar (30S,
61E).
Tale ipotesi è supportata da ulteriori e
significativi dati sperimentali, presentati dal
team, nei mesi scorsi, in più occasioni d'eccezione
come
il
Philadelphia Annual Meeting (22–25 Ottobre 2006) o
l'American
Geophysical Union (11-15 dicembre 2006).
La
composizione dei campioni analizzati è simile a
quella che si verifica quando c'è un impatto
meteorico: un mix di metalli fusi insieme e di
sedimenti del fondo marino contenenti microfossili
di esseri viventi tipici delle grandi profondità.
Glli astronomi, fino
ad ora, si sono dimostrati cauti (se non scettici)
ma sono disposti a valutare ulteriori prove.
David Morrison,
un'autorità nel campo degli asteroidi e delle comete
del centro di ricerca della NASA Ames nel Mountain
View, afferma come sia probabile che 185 grandi
asteroidi o comete hanno colpito la terra in un
nostro lontano passato e che la maggior parte dei
crateri sono stati rinvenuti sulla terraferma ma
ammette che si è speso davvero poco tempo alla
ricerca di crateri sul fondo degli oceani poiché
ritenuto probabile non ve ne fossero di "giovani"
mentre, dei possibili antichi crateri, anche a
cercarli non ne avremmo trovato alcuna traccia in
quanto ormai colmi di sedimenti.
Il caso del Madagascar
può costituire un caso emblematico; suggerirebbe un
nuovo scenario per la storia passata e futura del
pianeta, sia da un punto di vista geologico che
astronomico.
I campioni raccolti lo
scorso agosto dalla Abbott e dal suo team sono stati
di recente analizzati da Dee Breger, direttore di
microscopia all'università del Drexel (Filadelfia)
con un microscopio elettronico a scansione ed ha
trovato dei foraminiferi bentonici fossili
molto piccoli provenienti dal fondo oceanico,
"spruzzati" dappertutto; fusi ai fossili ha trovato
ferro, nichel e bicromato di
potassio.
Quando una condrite, genere di meteorite tra i più
comuni, si vaporizza nell'oceano, quei tre metalli
vanno a formarsi nelle stesse proporzioni viste nei
microfossili dei sedimenti analizzati.
La spedizione della dottoressa
Abbott, sponsorizzata in larga parte dalla
WAPMERR (World
Agency for Planetary Monitoring and Earthquake Risk
Reduction), una organizzazione no-profit, ha
adesso bisogno di ulteriori dati, di verifiche,
soprattutto oceanografiche, che ci auguriamo avranno
un seguito in un ambiente come quello della ricerca
scientifica in cui i fondi, troppo spesso, vanno a
lavori di sicuro profitto economico. Se queste
confermeranno quanto oggi costatato sarà allora il
caso tenere occhi vigili e sveglia puntata. L'ora
impatto è sempre più in agguato.