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Velocità di espansione del cosmo


Scoperata una nuova forza repulsiva



Nei mesi scorsi sono stati resi pubblici nuovi dati sulla velocità di espansione dell'universo, e la loro interpretazione promette di essere uno dei risultati di più vasta portata scientifica di questi anni. Si tratta di una misura della velocità di allontanamento delle galassie lontane, che risulta essere accelerata. Oggetto della misura sono alcune decine di galassie con redshift elevato in cui è stata misurata la curva di luce di una supernova di tipo Ia.

Ciò che sorprende nei dati misurati è che comportano l'esistenza di una nuova forza, di carattere repulsivo, che accelera la velocità di espansione dell'universo, prevalendo sulla decelerazione prodotta dalla gravità. La chiave dell'esperimento sta appunto nell'utilizzo delle supernove di tipo Ia come indicatori della distanza delle galassie a cui appartengono. Negli eventi di supernova la massa della stella, giunta nella fase terminale della sua evoluzione, collassa esplosivamente.

La sua luminosità aumenta drammaticamente con una funzione del tempo caratteristica - al picco può risultare anche di un miliardo di volte maggiore di quella originaria - e poi si esaurisce con tempi dell'ordine del mese. È la cosiddetta curva di luce, uno dei parametri che permettono la classificazione delle supernove. Si ritiene che quelle di tipo Ia derivino da una nana bianca legata ad una stella compagna da cui possa succhiare materiale.

Il progressivo aumento della massa della nana bianca finisce per portarla al di là del limite di Chandrasekar, innescando il collasso gravitazionale e quindi l'evento di supernova. Le modalità del processo gli conferiscono una buona regolarità, per cui tutte le supernove di tipo Ia hanno una curva di luce simile, il che permette di riconoscerle, e una magnitudine assoluta al massimo all'incirca costante, potendosi correggere le piccole differenze che occorrono da un evento all'altro.

Si possono quindi utilizzare come “candele” campione per la misura della loro distanza, che si ottiene dal rapporto tra la luminosità apparente, misurata dall'osservatore, e la luminosità assoluta, poiché questo rapporto, come si vede, dipende dall'inverso del quadrato della distanza della supernova dall'osservatore. Conoscere la distanza di una supernova permette di conoscere la distanza anche della galassia lontana cui appartiene.

Se a ciò si associa la misura dello spostamento verso il rosso delle righe spettrali (red shift), e si ripete la misura per un numero sufficiente di galassie, si ottiene la velocità di allontanamento delle galassie, e quindi di espansione dell'universo, in funzione della distanza.

Tutto ciò è concettualmente abbastanza semplice: dove le cose si complicano è nell'effettiva conduzione della misura. Anzitutto si stima che la frequenza delle supernove di tipo Ia sia di una ogni millennio circa. Inoltre essa va individuata nella sua prima settimana di sviluppo, onde poterne misurare per bene la curva di luce. Evidentemente la probabilità di individuare in tempo utile una supernova Ia guardando a caso una galassia è il rapporto tra una settimana ed un millennio.

Evidentemente siamo di fronte ad un problema osservativo formidabile. Esso è stato risolto fotografando - in digitale - ogni settimana angoli dello spazio ricchi di galassie lontane ed effettuando la differenza tra le immagini prese a distanza di una settimana. Ciò che resta, fatta la differenza, è quanto di nuovo è avvenuto nel frattempo, oltre al rumore. L'operazione richiede ovviamente una non comune perizia nella gestione delle immagini digitali.

Nei mesi scorsi due gruppi, indipendentemente, si sono impegnati in questa ricerca. Il gruppo High-z Supernova Search Team ha analizzato 42 supernove lontane; un altro gruppo del Lawrence Berkeley National Laboratory ne ha potute osservare 16. Le misure utilizzano in maniera combinata sia lo Hubble Space Telescope che i grandi telescopi a terra, in particolare il Kek.

Entrambi gli esperimenti concordano nel trovare una velocità di espansione maggiore di quella prevista.Le conseguenze teoriche che questa scoperta comporta sono al momento difficilmente valutabili. Quale forza infatti accelera l'espansione? Per spiegarselo si deve riconoscere che a livello cosmologico lo spazio vuoto esercita una pressione ed è sede di una densità di energia. Ciò chiama in gioco la famosa costante cosmologica (lambda), a cui si deve assegnare un valore non nullo e maggiore di zero.

La costante cosmologica (lambda) fu introdotta nel 1916 da Einstein nel quadro della Relatività Generale per rendere le sue equazioni capaci di descrivere un universo statico, come allora si riteneva generalmente che fosse. Essa ha le dimensioni dell'inverso di una distanza al quadrato. Dato un valore per la costante cosmologica, la distanza che gli corrisponde è quella a cui potrebbero percepirsi scostamenti dal carattere euclideo dello spazio, il che significa comunque una costante cosmologica piccola.

Finora intorno alla costante cosmologica è ruotato un grave e fondamentale problema: quello dell'inconsistenza tra la stima del suo valore in base a considerazioni astrofisiche e la stima che se ne può avere nell'ambito del modello standard delle particelle elementari, in base ai principi quantistici. Il problema è che tra le due stime corrono qualcosa come 120 ordini di grandezza. Difficilmente in fisica si avuta una discrepanza così marcata tra due previsioni indipendenti di una stessa grandezza.

Non è facile quindi non condividere l'opinione che il problema della costante cosmologica ci stia in realtà indicando qualche profonda regolarità della natura che aspetti di essere svelata.

Dottor Carlo De Marzo

Giornale tecnologico