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SCIARADA

 

 
 

di Alessio Feltri

 
     
 

Nei miei articoli precedenti ho evidenziato spesso come, a dispetto di certe indebite semplificazioni giornalistiche, i crateri presenti sui vari corpi celesti, almeno sotto l’aspetto delle origini, non siano tutti uguali. Questa volta però farò un’eccezione, per cui ci occuperemo di quei crateri che sono più uguali degli altri.

LE FONTANE DI EINTHOVEN-MEITNER

Non è certo un segreto che fin dagli anni ’60 le sonde lunari abbiano riportato dei dati molto più complessi di quelli divulgati. D’altra parte le immagini rilasciate sono spesso quasi inservibili a fini scientifici, per cui i ricercatori indipendenti devono inevitabilmente rischiare la classica figuraccia ogni volta che azzardano una teoria che sia anche solo parzialmente controcorrente. Dato che non vorrei ingrossare le fila della suddetta categoria, cercherò di esporre i fatti in modo facilmente confutabile, qualora qualcuno volesse cimentarsi col problema.

Correva l’anno 1966 quando la prima sonda della serie Lunar Orbiter iniziava ad inviare le prime immagini della superficie lunare, di cui un esempio molto famoso è dato da questa foto di alcuni crateri sulla faccia nascosta della Luna, a Nord-Ovest di Tsiolkovsky, tra Hilbert ed Einthoven, passando per Meitner, il tutto rischiarato da una suggestiva e immanente presenza del nostro pianeta.

 

 
   
 

A prima vista non si vede proprio nulla di strano, i soliti crateri, il terreno desolato e l’oscura immensità dello spazio. Ma le cose cambiano se facciamo la più semplice delle operazioni, che è ingrandire l’immagine, e la più logica, cioè individuare dei punti di riferimento che ci aiutino a “collocare” tutto quello che troveremo.

Il modo più semplice è quello di confrontare (nella prossima tavola) questa immagine (A) con un mosaico di foto panoramiche acquisite dall’Apollo 15 nel corso del suo programma esplorativo (B).

Per facilitare il compito dei lettori ho preso in esame la parte destra dell’immagine precedente, al centro della quale c’è un cratere senza nome, situato tra Meitner ed Einthoven.

Con i caratteri in giallo ho evidenziato alcuni elementi “emergenti”, la cui natura è meritevole di essere analizzata in profondità, e le sorprese non saranno poche…

 
 
   
 

X) e Y) individuano dei mini-crateri raggiati, su cui torneremo più tardi. Vediamo ora di scoprire qualcosa di più sulle formazioni contrassegnate da 1), 2) e 3).

Il settore 1) è nelle immediate vicinanze del cratere senza nome e ci mostra da subito alcuni elementi significativi. Nell’immagine seguente (in alto un ingrandimento del frame Lunar Orbiter) vedete come i bordi del cratere siano caratterizzati dal solito intreccio di macroformazioni di aspetto fibroso, che convenzionalmente definisco “sinaptiche”.

Nell’immagine Apollo 15 (in basso) le fibre non sono così evidenti, ma vi sono altri particolari.

Con V) ho indicato un’inusuale “gambo” arrotondato di natura imprecisata, terminante in tanti bracci minori disposti a delta, mentre con Z) ho evidenziato quella che sembra essere una specie di caverna sul bordo della depressione circolare adiacente al cratere principale.

 
 
   
 

Per i fortunati possessori di occhialini 3D ho preparato un’immagine tridimensionale della stessa area (ruotata di 90° in senso antiorario rispetto alla precedente), questa volta ripresa da Apollo 17, cioè dopo oltre un anno.

Il “gambo” V) si vede appena e la presunta caverna Z) sembra essersi sdoppiata. Naturalmente potrebbe essere solo un effetto ottico dovuto alle ombre, per cui prendiamone atto e procediamo, magari con un filo di attenzione in più rispetto al normale.

 

 
   
 

Le vere sorprese arrivano con l’esame dei crateri 2) e 3). Esaminiamoli in dettaglio, uno per uno, cominciando dal 2), visibile nell’immagine seguente (in alto a sinistra il frame del 1966 e a destra quello del 1971). Un primo dato sconcertante è che il cratere più chiaro appare come una specie di “scodella” che si protende sulla sottostante depressione K). La freccia bianca in alto a destra indica un’altra zona scura, molto simile alla “caverna” cui accennavo prima, che però nella foto in basso a sinistra del 1966 ha una forma trapezoidale decisamente curiosa.

Notate poi, indicata con J) un’altra “scodella” più piccola, questa volta con una specie di canale biancastro irregolare, e, contrassegnato con W) e indicato dalla freccia, un ancor più strano “outcrop” di impianto pentagonale raggiato.

Ancora il dato non sarebbe comunque conclusivo, la forma a scodella potrebbe essere dovuta ad un impatto avvenuto dopo quello che aveva provocato la depressione K), per cui i bordi laterali più alti e quello centrale più basso potrebbero essere dovuti ad una minore resistenza del bordo di K) al momento dell’impatto stesso. Certo che la teoria “elettrica” in questo caso pare difficilmente applicabile, in quanto i due crateri sovrapposti sono decisamente diversi tra loro e presumibilmente sono stati originati da fenomeni anch’essi diversi.

 

 
   
 

Quello che ci impedisce di archiviare il tutto come una semplice casualità è che a quanto pare questa struttura è tutt’altro che isolata, visto che già a pochi Km. di distanza ne ritroviamo una molto simile nel cratere 3), ai margini di Einthoven.

Nell’immagine seguente in alto a sinistra c’è il fotogramma Lunar Orbiter, in cui l’anello rosso indica il confine di Einthoven, mentre in basso c’è la vista planimetrica Apollo.

Nella foto 3D a destra le frecce indicano rispettivamente (dal basso verso l’alto)

-                           la solita “caverna” da cui sembra anche in questo caso fuoruscire del sedimento depositato sul fondo del cratere,

-                           un piccolo cratere formato da evidenti anelli concentrici

-                           una inconsueta formazione quadrangolare.

 

 
   
 

In questo caso la somiglianza con 2) è limitata all’aspetto generale del cratere, perché non c’è una chiara depressione circolare sottostante come nel caso precedente. Ma come si suol dire a “tagliare la testa al toro” interviene un altro cratere, che troneggia al centro del vicino cratere Hilbert.

 

 
   
 

Anche in questo caso il cratere superiore sembrerebbe a sbalzo su quello sottostante (usare gli occhiali 3D!), ma quello che è maggiormente significativo è che il bordo appare sfocato proprio in coincidenza dello sbalzo, quasi come se non si volesse farne comprendere l’andamento.

 

 
   
 

Ma non è tutto, perché noterete nella foto seguente in basso a sinistra come anche il bordo del cratere sottostante sembra aver subito lo stesso trattamento (censorio?), come si evince facilmente dal 3D a destra, in cui  per fortuna il bordo si vede bene e appare una strana “mega-stalattite” a L rovesciata, che (guardate bene) parrebbe molto più distante dall’orlo del cratere rispetto alla foto di sinistra, anche tenendo in considerazione l’evidente distorsione ottica.

 

 
   
 

Per ragioni di spazio non posso mostrare tanti altri casi di formazioni analoghe, per cui lascio tale incombenza ai lettori più volonterosi e mi limito a far notare che un tale numero di similitudini ben difficilmente può a mio parere essere ascritto ad eventi catastrofici od erosivi, la cui meccanica mi parrebbe tra l’altro ben poco plausibile.

Per concludere direi che, dato che propendo sempre per l’origine biogenica, non credo che siano “fontane” come le ho descritte nel titolo, certo però che la somiglianza è notevole…

RAGGI DI LUNA

E torniamo ora ad un’altra classe di crateri, che a quanto pare si ripete con elevata frequenza: quella dei crateri “raggiati”. Sulla Luna gli esempi sono innumerevoli e i più noti sono Tycho, Copernico, Keplero ecc. Le versioni ufficiali concordano nell’attribuire il fenomeno ai cosiddetti ejecta, cioè il materiale proiettato fuori dal cratere al momento della formazione dello stesso, e nel giustificare la colorazione più chiara dei raggi al fatto che evidentemente i suddetti crateri sono di più recente formazione (sempre in termini geologici, naturalmente).

Il fatto è che la suddetta spiegazione cozza abbastanza duramente contro l’evidenza delle osservazioni e per chiarire meglio la questione torniamo al cratere X), che avevo evidenziato nella seconda immagine dell’articolo, posizionato sull’orlo del cratere Meitner.

A sinistra ho inserito l’immagine 2D e a destra quella 3D.

 

 
   
 

Osservando attentamente si può notare come i raggi non si presentino affatto come accumuli di sedimento “disorganizzati”, bensì come intricate serie di canalizzazioni pseudotubolari che si dipartono dal bianchissimo cratere centrale, passando sopra l’orlo del cratere stesso. Tale geometria è inoltre replicata nel più piccolo cratere che si vede in basso.

Che il tutto non sia un effetto ottico è facilmente riscontrabile nel vicino cratere Y), che nella tavola seguente possiamo ammirare in versione tridimensionale (il positivo a sinistra ed il negativo a destra). L’utilizzo del negativo è utile in molte circostanze per visualizzare più chiaramente la geometria distributiva delle reti sinaptiche, che a livello planetario si presentano spesso come delle “radici” orizzontali di aspetto fibroso, ad andamento prima lineare e poi radiale.

Anche in questo caso si può verificare come i canali fuoriescano dal cratere sormontandone il bordo e poi si distribuiscano sul terreno inizialmente secondo linee rette e poi, nelle zone terminali, ripiegandosi su se stessi in strutture radiali.

Parlando delle sferule di Meridiani abbiamo già visto come tali geometrie siano in natura spesso connesse con l’azione di campi elettromagnetici, per cui in questo caso la teoria “elettrica” della formazione dei crateri sembrerebbe prevalere su quella classica dell’impatto.

Notare inoltre l’altissimo picco centrale, che l’immagine 3D mostra in tutta la sua imponenza.

 

 
   
 


In questo ingrandimento 2D si osservano, specialmente sulla sinistra, dei mini-crateri, anch’essi raggiati, sovrapposti ai raggi di Y), mentre in alto a destra è visibile la strana formazione quadrangolare già vista in precedenza.

 
   

 
 

A questo punto diventerebbe prioritario stabilire se i canali convergono nel cratere oppure ne divergono, ma questo dalla semplice analisi fotografica non è deducibile, per cui si deve rimanere nell’ambito delle ipotesi.

Come nel caso delle “fontane”, anche in questo caso la tipologia di craterizzazione raggiata non è ristretta alla sola area di Einthoven-Meitner, ma è presente in vari siti lunari, come facilmente deducibile dall’immagine seguente, raffigurante un cratere raggiato in Taurus-Littrow, immediatamente a sud del landing site di Apollo 17.

 

 
 

 
 

CONCLUSIONI

Il dato più interessante che possiamo trarre da questo lavoro è che, come nello spionaggio, anche nell’esplorazione spaziale nulla è mai come sembra.

ALESSIO FELTRI

 

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