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L'Occhio di Deimos
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Space Freedom
Avventura marziana
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Alessio Feltri
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Genesis |
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di Alessio Feltri |
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Avete mai pensato che
tutti voi potreste essere degli astronauti, ovvero delle unità
biologiche autonome destinate ad attività extraveicolare permanente? Se
la risposta è no, forse dovreste seguirmi in un fantastico viaggio a
ritroso, lungo quasi cinque miliardi di anni.
I lettori che mi hanno
seguito in questi mesi sanno che sui vari corpi del sistema solare sono
state fotografate dalle varie sonde formazioni gigantesche
apparentemente inesplicabili e soprattutto geometricamente riconducibili
sempre alle stesse configurazioni, in parte lineari e in parte radiali,
caratterizzate spesso dalla sovrapposizione di simmetrie pentapolari
raggiate e bilaterali speculari.
Il risultato (canali
tubolari spropositati, enormi lastre forate semitrasparenti, crateri a
toroidi sovrapposti ecc.) è stato al massimo interpretato dai Profeti di
Internet, Hoagland in testa, come un lascito tecnologico di
antiche civiltà extraterrestri. Come ho già ricordato, già Keplero aveva
avanzato questa teoria, e gli era giustamente stato opposto che
strutture di quelle dimensioni avrebbero richiesto dei cantieri talmente
sproporzionati da risultare antieconomici perfino per civiltà
superevolute. Quello che i seguaci di Keplero e Hoagland non hanno preso
in considerazione è in realtà la soluzione più ovvia del problema, e
cioè che il sistema solare sia un manufatto di biotecnologie.
Assodato che pensare
che noi e il sistema solare siamo un prodotto del caso è pura idiozia
(sarebbe come stipare in un garage i componenti di una Ferrari, buttarci
dentro una bomba e poi aprire la porta aspettandosi di trovarci una
vettura perfettamente funzionante), la spiegazione più semplice è che
siano stati impiegati dei sistemi autoriconfiguranti e autoreplicanti,
progettati per costruire passo per passo noi e tutto quello che ci
circonda.
Già nei primi anni ’80
Hoyle aveva posto le basi di questo ragionamento, calcolando che un
singolo microscopico batterio, in presenza di condizioni favorevoli,
avrebbe potuto in sole tre settimane moltiplicarsi fino a costituire una
biomassa equivalente a tutta la materia presente nell’Universo.
Cosa ne consegue? Per
costruire un corpo planetario orbitante sarebbe sufficiente un progetto
di ingegneria genetica che prevedesse la creazione di microrganismi
biologici capaci di raccogliere ed “accorpare” la polvere interstellare,
procedimento che in presenza di idrogeno, metalli ed opportuni
catalizzatori, forniti dai microrganismi stessi o da simbionti,
consentirebbe alla biomassa di crescere fino al punto critico previsto
dal progetto stesso.
Dato che nessuno di
noi era presente alla fase iniziale del progetto, l’unico modo che ci
resta per verificare la bontà di questa ipotesi è mettere a confronto
questo modello teorico con le osservazioni. Vi ho parlato più volte dei
“Fondatori”, cioè i microrganismi di cui sopra, e di come il risultato
visibile del loro operato sia la cosiddetta “Rete Sinaptica” (il termine
proviene dal greco, significa semplicemente “collegare insieme” e non ha
quindi connessioni dirette col nostro sistema cerebrale). Il primo passo
che dovete compiere è imparare a riconoscere la rete sinaptica nelle
varie foto orbitali, altrimenti finireste per scartare i miei
ragionamenti a causa della pura e semplice incapacità di trovare delle
conferme.
Ho pensato e ripensato
a tutti i modi possibili di aiutarvi al riconoscimento di queste
strutture, ma non sono ancora sicuro di aver raggiunto lo scopo. Un
elemento che non dovete mai dimenticare è che il progetto della rete è
finalizzato ad assecondare i campi ondulatori postulati dalla fisica
unigravitazionale, per cui le geometrie di configurazione sono le stesse
sia in scala microscopica che macroscopica, essendo il risultato di
sommatorie di campi polari, la cui progressiva sovrapposizione ne rende
sempre più difficile l’interpretazione al crescere delle dimensioni
relative.
Ciò premesso, un
esempio che potrebbe essere calzante è quello della carta millimetrata,
in cui le righe parallele incrociate sono “gerarchiche”, e cioè ogni
dato numero di righe sottili si ha una riga più spessa, sempre però
ricordando che mentre la rete sinaptica è tridimensionale, invece la
carta millimetrata è bidimensionale per cui l’analogia è di natura per
così dire “olografica”.
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Nella tavola che
ho assemblato potete vedere nella prima riga un paio di esempi di carta
millimetrata, che hanno lo scopo di mostrarvi come sarebbe fuorviante
presupporre una simmetricità totale della matrice.
Nella seconda riga
ho riportato tre esempi di rete sinaptica, uno da una foto del
Microscopic Imager di Opportunity, uno da un frammento fotografato da
Spirit e uno da un’immagine delle megastrutture fotografate da Apollo 10
in Ukert e dintorni.
Nella terza riga
ho riportato in scale comparabili con le foto precedenti il tipico
“pattern” della rete sinaptica, molto simile a quello degli scheletri
silicei dei radiolari terrestri.
Nella quarta riga
ho simulato la composizione tridimensionale dei patterns in “strati
sinaptici”, che non dovete considerare come sovrapposti, ma
intrecciati.
Ai lati vedete due
altri esempi di maxistrutture sinaptiche, uno prelevato da un dettaglio
di Giapeto ripreso dalla Cassini e l’altro da un’immagine Viking della
porzione orientale di Ganges Chasma, nella parte settentrionale della
Valles Marineris.
Come vedete, le
strutture sinaptiche non mutano in modo apprezzabile al variare del
corpo celeste su cui sono rilevabili, sia esso un pianeta, un satellite,
una cometa o un semplice asteroide.
Ricordo sempre che
le strutture sinaptiche sono il prodotto dell’attività dei
microrganismi, per cui hanno natura biogenica e non biologica in senso
stretto. Rimarrebbe da spiegare perché in alcune foto si muovano, ma a
questo arriveremo dopo.
Per ora
ringraziamo la NASA per i suoi puntuali autoaggiramenti del suo stesso
cover-up, derivanti per lo più dal fatto che gli attuali ragazzini di
Pasadena falsificano le foto senza sapere che i loro genitori avevano
falsificato trent’anni fa le stesse immagini, ma in modo diverso.
Ed è quindi dal
sito JPL che ho ripreso queste chiarissime immagini Viking di 50 Km di
rete sinaptica alle pendici del canyon di Ganges Chasma. |
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Come si vede le
“strisciate” del Mars Global Surveyor (come la m0202906) si arrestano
sempre al limitare dell’area significativa, né per altro ne esistono in
alcun punto della direttice AB, di cui ho riportato la triangolazione
per consentirvi di giudicarne la natura con i vostri occhi.
Il motivo
principale di questa consistente emersione della struttura sinaptica è
probabilmente che il livello del fondo del canyon è più basso di diversi
Km, per cui è ragionevole supporre che l’affioramento sia stato motivato
da prevedibili fenomeni di erosione.
Prescindendo dalle
divertenti sviste NASA, con sferoidi volanti che appaiono o scompaiono
nelle varie versioni della stessa foto pubblicate negli ultimi 30 anni,
vorrei in questa circostanza che memorizzaste le geometrie
caratteristiche degli strati sinaptici, in modo che possiate
riconoscerle anche in altre circostanze. |
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La rete è
strutturata in formazioni tubolari incrociate biancastre, che appaiono
sprofondare nel sedimento in cui sono annegate per diversi Km di
profondità, né possiamo stabilire se e quando questa configurazione si
arresti. I cross-tubes non sono ovviamente regolari come tubazioni
artificiali, ma la loro origine biogenica li rende tortuosi e
irregolari, pur nell’ambito delle solite geometrie lineari e radiali,
accompagnate sovente da sferoidi a lucentezza metallica.
Una cosa certa è
che, pur con le difficoltà indotte dalla necessità di ispezionare 20
foto per autenticarne una, in molte occasioni si sono verificati
“movimenti” delle formazioni o improvvise “apparizioni” di strutture che
in altre foto non c’erano. Ma come possono muoversi strutture lunghe
decine o centinaia di Kilometri? La spiegazione è semplicissima e ancora
una volta devo ringraziare i ragazzini della NASA, che hanno usato per
un piccolo “outcrop” fotografato da Spirit la denominazione di “Jibsheet”.
A chi non è un
vecchio lupo di mare come me ricordo che jibsheet è il termine
marinaresco inglese equivalente a “scotta del fiocco”, in pratica la
corda che bisogna tirare per modificare la posizione della vela di prua.
Magari chi ha coniato quel nome pensava ad altro, ma il fatto è che le
foto di jibsheet erano pesantemente truccate e soprattutto in esse non
c’era nulla che facesse
pensare
anche lontanamente ad una corda o a una carrucola. |
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Le foto non sono
congruenti tra loro, ma al momento non ce ne occupiamo. |
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La domanda giusta
è “Perché una corda?”
La risposta
altrettanto giusta è “Perché no?”
Abbiamo visto che
i tubi sinaptici sono strutturati in geometrie tubolari sempre più
piccole, fino alla scala dei microorganismi generatori. A questo punto,
per giustificare l’”innervamento” (e quindi il possibile movimento)
della struttura sinaptica, bisogna ipotizzare una microstruttura
cristallina compatibile con il modello che ho descritto e non c’è alcun
problema al riguardo, visto che ci basta tirare in ballo i nanotubi al
fullerene.
Come è noto, la
“buckyball” (o C60), componente base del fullerene, è una
configurazione geodetica composta da 60 atomi di carbonio, disposti
secondo 20 esagoni e 12 pentagoni, reperita frequentemente nelle
meteoriti. Forzata ad allungarsi la buckyball forma il cosiddetto
nanotubo, simile ad un cavo 100 volte più resistente dell’acciaio, 2
volte più leggero dell’alluminio e soprattutto superconduttivo a
temperature più alte rispetto a tutti gli altri materiali.
I nanotubi possono
essere a singola parete (SWNT) o multiparete (MWNT). Questi ultimi si
formano uno dentro l’altro, con un meccanismo a scatole cinesi che, se
finora siete riusciti a seguirmi, dovrebbe ricordarvi qualcosa.
Ma l’aspetto
ancora più significativo è il meccanismo di produzione, che si può
riassumere in 3 metodologie di base:
PLV (Pulsed Laser
Vaporization) Vaporizzazione di grafite con impulsi laser
AD (Arc Discharge)
Grafite, yttrium e applicazione di corrente
CVD (Chemical
Vapour Deposition)
Quest’ultimo
metodo consiste semplicemente nel mettere un substrato opportuno in un
forno a 600°C e poi di aggiungere lentamente del metano.
Man mano che il gas si decompone, libera atomi di carbonio che si
ricompongono in forma di nanotubi. Il motivo è che le buckyballs si
formano quando il carbonio è vaporizzato, mescolato con un gas inerte e
poi fatto condensare lentamente. La presenza di un catalizzatore
metallico fa poi allungare le buckyballs, causando la formazione
di nanotubi.
Noterete come a
questo punto il cerchio si chiuda. Microorganismi e nanotubi sono
perfettamente in grado di cooperare in qualunque scala sia richiesto,
naturalmente a patto di possedere le indispensabili cognizioni di
bioingegneria. E con qualunque scala intendo Marte, la Terra o anche il
Sole. Ma di questo parleremo in un’altra occasione.
Per adesso vi
mostro una tavola in cui ho riassunto alcuni dei ragionamenti che ci
hanno accompagnato in questi mesi (mancano solo gli eccitoni).
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Al centro vedete
una visione polare della BuckyBall, con ai lati la struttura naturale (C60)
e quella artificiale (C68), mentre in basso vedete le altre
strutture cristalline a base carbonio, cioè grafite e diamante, ai lati
del famigerato nanotubo. In alto ho aggiunto le solite inopinate
coincidenze geometriche, in questo caso tra l’atomo magnetico di
P.L.Ighina, il fotone-gravitone di R.Palmieri e la curiosa forma del
polo nord di Saturno.
La struttura
penta-esagonale in cui si configurano gli atomi di carbonio trova
un’inaspettata conferma in questa mia elaborazione delle immagini
riprese su Titano dalla fotocamera installata nella parte inferiore
della sonda Huygens dopo l’atterraggio. Come vedete dalle immagini in
sequenza la struttura del terreno appare intessuta di maglie poligonali
regolari sovrapposte e soprattutto interessate da moti di
riconfigurazione. |
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Non posso dire di
più perché dovrei toccare argomenti scientifici troppo delicati, ma una
domanda ce la possiamo porre. In questo quadro di riferimento dal
microscopico al macroscopico, qual è il posto occupato dalle forme di
vita terrestri e non?
Vi ho più volte
detto che l’apparente contrasto di questo quadro con l’interpretazione
letterale dei testi sacri è uno dei tantissimi motivi del cover-up. Il
grottesco è che il problema scomparirebbe accettando un’esegesi
addirittura integralista, non solo letterale, dei testi stessi. Uno dei
tanti esempi che si potrebbero fare è quello riferito al fatto che Dio
ci avrebbe creato a sua immagine e somiglianza. L’umana presunzione ci
ha portato ad immaginare Dio come un vecchio saggio con la barba bianca,
praticamente un incrocio tra Garibaldi e Flavio Briatore, in effetti
ribaltando il concetto di partenza. Ma se analizziamo meglio le cose
possiamo vedere che noi siamo in realtà dei veri e propri ecosistemi di
microorganismi, che svolgono tutte le principali funzioni operative al
nostro posto cooperando al di fuori del nostro controllo diretto. Il
concetto di cooperazione è basilare per organismi nati per interagire
con l’ambiente in network. Cosa succederebbe se i nostri neuroni, pur
rimanendo al loro posto, si isolassero dalla connessione sinaptica? La
risposta è che cominceremmo a ragionare con la stessa profondità mentale
di un politico sotto elezioni.
Qualunque biologo
molecolare vi potrà confermare che il nostro DNA è un software a tutti
gli effetti, per cui lascio a voi l’interpretazione del famoso
imperativo “Crescete e moltiplicatevi”. Da parte mia posso solo dire
che, al di fuori del quadro che ho tracciato, la risposta più ovvia
sarebbe “E perché?”.
Date le premesse
ci potremmo quindi considerare dei sistemi bionici autonomi, ma
progettati sulla base di una rete più ampia, praticamente delle repliche
in sedicesimo della rete stessa, presumibilmente destinati ad agire e
sopravvivere come inconsapevoli “slow-walkers” in superficie, e quindi a
moltiplicare le informazioni per poi riportargliele.
Come vedete il
contrasto con la Bibbia non esiste proprio e men che meno col Vangelo.
Quale affermazione sarebbe più coerente col concetto di network di “Non
fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”? |
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Alessio Feltri
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