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L'Occhio di Deimos
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Space Freedom
Avventura marziana
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Alessio Feltri
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CRATERI & CRITERI |
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di Alessio Feltri |
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Uno degli aspetti
più controversi delle nostre attuali conoscenze sul Sistema Solare è la
spiegazione della presenza di crateri sui vari pianeti. Affrontare
questo problema ci porterà a cimentarci con una questione che da
infinite generazioni affligge il genere umano, ponendolo di fronte ad un
interrogativo inquietante: “E’ nato prima l’uovo o la gallina?”.
Fino agli anni ’50
gli scienziati hanno mantenuto sul meccanismo di formazione dei crateri
una posizione fondamentalmente agnostica, optando ora per il vulcanismo,
ora per l’impatto. Dopo gli studi di Shoemaker sul cratere Barringer e
la caduta dell’ipotesi vulcanica, pare che oggi non si possa più parlare
di un cratere senza definirlo “da impatto”. Ma è proprio così?
Come è noto, le
riprese satellitari ci hanno mostrato che anche sulla Terra vi sono
tracce di molti crateri, dall’Australia (Liverpool Crater, nella foto a
sinistra) fino all’India (Lonar Crater, a destra).
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Di alcuni è stata
accertata l’origine vulcanica, di altri quella da impatto, per lo più
grazie al rinvenimento nei pressi di litoidi ferrosi residuali
dell’impatto stesso, come accaduto per il cratere Barringer, la cui
caratteristica geometria psudo-quadrangolare è evidente in questa
immagine
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Una prima domanda
sorge spontanea: “In base a quali criteri si è estesa la tesi
dell’impatto a crateri aventi caratteristiche geometriche e geologiche
molto diverse da Barringer?”
Per trovare una
risposta è necessario fare un passo indietro e ripercorrere nei punti
essenziali la teoria classica sulla formazione dei crateri.
LA TEORIA CLASSICA
Non mi dilungherò
nell’esposizione dettagliata dell’impianto teorico classico, in quanto
reperibile con estrema facilità da una moltitudine di fonti. Ricordo
solo che la fenomenologia di un corpo impattante prevede varie fasi:
1)
COMPRESSIONE
Il corpo
impattante penetra ad una velocità di vari Km/sec. nell’atmosfera,
generando un’onda d’urto di elevatissima pressione (anche molto
superiore a 5000 Kbar) e vaporizzandosi insieme a gran parte della
superficie interessata dall’urto.
2)
ESCAVAZIONE
Le onde d’urto
generate dall’evento si propagano nel terreno (la loro velocità iniziale
è di circa 10 km/sec) e questa compressione (associata all’espulsione di
materiali dal luogo dell’impatto) origina la cosiddetta "cavità
transiente", l’enorme voragine iniziale destinata, in seguito, a
trasformarsi nel cratere vero e proprio.
3)
ESPULSIONE
L’espulsione dei
materiali avviene a velocità molto elevate (anche qualche km/sec), per
poi stabilizzarsi su valori dell’ordine di 100 m/sec.
I materiali (ejecta)
vengono scagliati verso l’alto e verso l’esterno ricoprendo in tal modo
una vasta area circostante il luogo dell’impatto e disponendosi a
raggiera.
4)
MODIFICAZIONE
Il più importante
tra i processi direttamente innescati dall’evento impattivo e che si
manifestano negli istanti immediatamente seguenti al suo verificarsi è
l’assestamento isostatico della struttura.
E’ evidente,
infatti, che non appena diminuisce l’azione di compressione sulle rocce
sottostanti la zona della caduta, queste tendono a ritornare nella
posizione iniziale (un vero e proprio rimbalzo elastico) riducendo in
parte la profondità della cavità transiente; tale fenomeno, nel caso di
impatti di grosse dimensioni, può sfociare nella formazione di una
struttura centrale (central peak) oppure in una struttura più complessa
ad anelli concentrici sopraelevati (bacino multi-ring).
Si deve ricordare
anche l’inevitabile ricaduta degli ejecta nella zona stessa
dell’impatto, che contribuisce ulteriormente a ridurre la profondità
della struttura, nonché il miscuglio di rocce risultante dalla
condensazione del materiale fuso e parzialmente vaporizzato lanciato in
atmosfera al momento dell’urto e poi ricaduto.
Sui corpi celesti
geologicamente attivi i crateri sono poi soggetti a fenomeni atmosferici
e geologici, che finiscono per nasconderne la geometria, così come
accade anche su pianeti quasi privi di atmosfera per via dell’elevata
densità di craterizzazione (ogni nuovo cratere cancella parte della
geometria di quelli vecchi).
Tutto sembrerebbe
“funzionare” egregiamente, ma all’interno di questo teorema si
nascondono diversi corollari interessanti, di cui è possibile delineare
i contorni con il mio metodo preferito, e cioè per immagini.
Le fasi di
compressione ed escavazione, prevedendo la vaporizzazione del corpo
impattante e la fusione del materiale superficiale, finiscono per
entrare a pieno titolo tra i fenomeni studiati dalla meccanica dei
fluidi, ed infatti tutti i punti descritti sono perfettamente
riconoscibili nella semplice caduta di una goccia d’acqua:
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Come si vede dalla
foto in alto, paragonabile alla sezione della fase di escavazione, c’è
una notevole corrispondenza con l’usuale geometria dei crateri, mentre
in basso sono perfettamente riconoscibili i meccanismi di generazione
degli ejecta e del central peak.
D’altra parte
siamo in presenza del trasformarsi istantaneo, in una regione
limitatissima, di enormi quantitativi di energia cinetica in energia
meccanica e termica. Dal punto di vista fisico l’evento è paragonabile a
ciò che si verifica nel caso dell’esplosione di una bomba: le differenze
risiedono fondamentalmente nel quantitativo di energia coinvolta e nel
tipo di energia iniziale, cinetica quella del meteorite, chimica quella
del TNT che origina lo scoppio, come nell’immagine seguente |
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Dal cratere viene
proiettato materiale ad alta velocità a certi angoli fra la verticale e
l'orizzontale; fenomeno questo cui si è spesso attribuita la formazione
dei lunghi raggi che circondano alcuni dei grandi crateri lunari.
Questa esplosione
di prova di 100 tonnellate di TNT in un deserto del Colorado ha scavato
un cratere del diametro di 39 metri profondo 7 metri. I blocchi di
materiale lanciato fuori dal cratere primario hanno formato crateri
secondari a 110 metri dal centro.
Il fatto è che iI
cratere non è mai identificabile come un fenomeno di scavo meccanico
originato da un oggetto solido (il meteorite) che, per così dire, si
apre la strada all’interno di un altro oggetto (la superficie
planetaria), cercando di mantenere la direzione originaria del suo moto,
ma, come si è visto, ad una vera e propria “bolla” di energia in
espansione violentissima, il cui fronte d’urto è responsabile delle
modificazioni morfologiche della superficie.
In altre parole
insomma, perfino rispettando alla lettera i dettami della teoria
classica, non c’è nessuna certezza scientifica riguardo alla CAUSA della
generazione dei crateri, ma solo degli indizi riguardo all’EFFETTO e
cioè la repentina trasformazione di una forma di energia in un’altra.
Molti si
chiederanno ora perché la maggioranza degli scienziati abbia allora
abbracciato aprioristicamente la teoria dell’impatto, ma la spiegazione
è anzitutto…filosofica.
Il meteorite o la
cometa sono, per così dire, casuali, rari e “rassicuranti”, mentre
attribuire ad altre forme di energia la formazione dei crateri avrebbe
inevitabilmente portato alle stesse contrapposizioni ideologiche che
attualmente dividono i creazionisti dagli evoluzionisti.
Ma lentamente e
timidamente va facendosi strada la convinzione che il problema sia stato
liquidato troppo precipitosamente, per cui le nuove teorie si
moltiplicano e quindi, dopo la teoria classica, esaminiamo ora quella
elettrica.
LA TEORIA
ELETTRICA
Oltre all’origine
vulcanica o da impatto c’è una terza possibilità, propugnata
dettagliatamente dai fautori dell’”Universo Elettrico„, come il gruppo
Thunderbolts e vari altri ricercatori indipendenti, tra cui il noto e
controverso Richard Hoagland.
I crateri nella
tavola seguente (foto B) sono stati creati in laboratorio tramite
scarica elettrica. Questa superficie craterizzata replica molte
caratteristiche di geologia planetaria. I crateri tendono a raggrupparsi
secondo la grandezza, disponendosi in righe ed in archi. Dove la scarica
era più forte, la terra sembra bruciata o scolorita ed i crateri
appaiono più addensati, non diversamente dalla superficie di Marte e di
altri corpi rocciosi del Sistema Solare. I centri di alcuni dei crateri
evidenziano poi protuberanze, come in molti casi enigmatici sulla Luna,
su Marte e su altri pianeti. Inoltre di particolare interesse sono le
striature scure dei due più grandi crateri vicino al centro
dell'immagine, di forma simile a quelle notate in crateri marziani ed
attribuite a fenomeni eolici.
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Che la somiglianza
sia qualcosa di più di una semplice impressione è facilmente
verificabile dal confronto con un’immagine dell’area di Sinus Meridiani
(foto A). Le analogie sono davvero sorprendenti.
In questo
dettaglio della zona (X) sulla lastra di laboratorio è ben visibile la
striatura scura che in più occasioni la NASA ha attribuito a fenomeni di
origine eolica.
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La teoria
dell’origine elettrica è stata espressa per la prima volta negli anni
‘60. Ma gli astronomi hanno avuto poco interesse per tali linee di
ricerca, perché hanno sempre supposto che le forze elettriche non
potessero raggiungerci attraverso il vuoto dello spazio. Tuttavia, le
numerose ricerche di epoca recente hanno contraddetto quella credenza.
Dalla scoperta delle Fasce di Van Allen del 1958 alle ultime scoperte
sui campi magnetici galattici e sui “clusters” galattici a raggi X, è
sempre più evidente che particelle cariche riempiono ciò che una volta
era chiamato il “vuoto„ dello spazio. L'attività elettrica è dominante
sia nello spazio interplanetario che interstellare.
È possibile che il
nostro sistema fosse una volta più elettricamente attivo che non oggi?
Quando le scintille elettriche colpiscono una superficie solida, possono
produrre non solo i crateri ma anche molte altre comuni caratteristiche
geologiche.
Secondo i teorici
elettrici, la ricerca sperimentale sull’eccitazione elettrica delle
superfici rocciose dovrebbe essere una priorità, in quanto la maggior
parte delle caratteristiche geologiche su scala planetaria possono
essere generate soltanto dagli archi elettrici. E se questo fosse vero,
allora la storia reale del Sistema Solare mostrerebbe davvero poca o
nessuna somiglianza con le descrizioni dei libri di testo.
Per avvalorare le
proprie tesi gli “elettrici” si sono concentrati in particolare su
formazioni molto particolari, le cosiddette “catene” di crateri, che, in
base alla teoria classica, sarebbero originate da un impatto radente, un
impatto cioè con un angolo di non più di qualche grado rispetto
all’orizzonte, atto a provocare una serie di crateri allineati a causa
della disgregazione del proiettile in più oggetti distinti, dal momento
che l’energia non verrebbe più liberata in un unico punto, ma piuttosto
lungo una linea.
La foto seguente è
stata proposta dalla NASA con questa didascalia: ”Crateri da impatto
meteoritico sul fondo di un cratere molto più grande, nella regione di
Noachis Terra. I crateri possono essersi formati insieme da un singolo
evento in cui il corpo impattante (un meteorite) si era frantumato in
tre parti.”
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L’obbiezione della
teoria elettrica è che il singolo evento è richiesto perché sul fondo
dei crateri non c’è traccia del sedimento prodotto dagli impatti
adiacenti. Le forze di scoppio avrebbero dovuto agire simultaneamente
per spostare lateralmente le eiezioni provocate tra un impatto e
l’altro. Ma l'unico modo immaginabile per raggruppare i tre crateri in
un singolo evento è di avere il corpo impattante rotto in tre parti. Ed
allora il problema ritorna alla prima osservazione dei tre crateri
allineati: è alquanto improbabile che un meteorite, rompendosi in alto
sotto l’azione del calore e dell’impatto con l’atmosfera, produca dei
frammenti che viaggino affiancati lungo la superficie.
Per coincidenza
potrebbe anche succedere. Ma se questa spiegazione della simultaneità
ambisce ad avere caratteristiche di generalità al di là di questo caso
specifico, la coincidenza ci obbliga alla credulità nelle molte
situazioni in cui le catene di crateri assommano a più di tre.
I fautori
dell’Universo Elettrico si chiedono se i crateri allineati non possano
essere spiegati meglio come tracce di scariche elettriche. Un arco
elettrico in superficie “agirà„ fuori del foro circolare: la parte
inferiore sarà ragionevolmente piana; i lati saranno ripidi; il
materiale rimosso sarà proiettato via, lasciando lo scavo pulito. In
particolare, muovendo l’elettrodo, il canale di scarico tenderà “a
saltare„ lungo la direzione del movimento, finendo per delineare la
serie di crateri. Poiché i residui vengono sollevati dalla superficie, i
crateri successivi non getteranno residui in quelli precedenti.
L'arco strapperà
cariche dal terreno circostante, formando canali più piccoli che
viaggeranno orizzontalmente sopra o sotto la superficie. Questi
lasceranno scarpate, o “fenditure„, dirette più o meno radialmente verso
il cratere. Appena queste correnti secondarie raggiungeranno l'arco
principale, esse tenderanno a congiungersi con esso, lasciando sotto di
loro una zona triangolare dove le forze di scavo si sono ridotte. Ciò
produrrà i caratteristici orli “rilevati„, ripidi sia all'interno che
all'esterno, con rivoli più o meno uniformemente spaziati. Dopo
l’estinzione dell’arco, naturalmente, la gravità lascerà libero tutto il
materiale che eccede “l'angolo di„ di scorrere verso il basso.
Ma torniamo alla
catena di crateri multipli, come in questa foto di Ganimede:
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Le probabilità che
lo scontro con un corpo impattante possa formare una fila di oggetti
ordinatamente disposti e spaziati tali da produrre questa serie di
crateri sovrapposti sono praticamente uguali a zero.
Invece, le catene
di crateri sono un risultato comune degli archi elettrici che passano
sopra la superficie di un catodo. Con lievi variazioni nella corrente o
nella superficie, l'arco può smettere di saltare da un cratere al
seguente e tagliare invece una specie di canale.
Nell’esempio
dell’immagine, i crateri si sovrappongono così vicini l’uno all’altro da
far sfumare la distinzione fra “catena di crateri„ e “canale dritto„. Ci
sono sezioni di questa catena di crateri che potrebbero passare
tranquillamente per un canale. Una volta esaminati in modo approfondito,
i più piccoli canali nell'immagine hanno sezioni scolpite che potrebbero
passare per crateri sovrapposti.
Le dimensioni dei
crateri sono simili, con un incremento nella zona mediana. Dal punto di
vista dell'Universo Elettrico, questa gradazione di scala è un riflesso
dell'aumento iniziale nella corrente quando un arco inizia a formarsi,
seguito da una diminuzione quando l'arco si estingue. Nei fulmini con
diramazioni multiple, quelle centrali sono solitamente le più forti.
Notate inoltre che
molti dei crateri mantengono i loro picchi centrali. L'arco che intaglia
un cratere è una corrente di Birkeland, la quale consiste in un
accoppiamento di filamenti che ruotano intorno all'asse della corrente,
producendo dei campi magnetici perpendicolari all’asse stesso. Se il
cratere è abbastanza grande, i due filamenti non verranno a contatto nel
centro, lasciando una spira centrale intatta (il cosiddetto central
peak).
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Poiché l'arco
solleva il materiale dalla superficie, lo scavo risulta relativamente
pulito. Soltanto una piccola parte del detrito ricade intorno e
all’interno del cratere o canale.
Anche la tesi del
crollo della parte superiore di “lava tubes”, avanzata per giustificare
i canali, fallisce in questo caso: I resti del tetto del tubo non sono
all'interno del canale. Le macerie “scomparse” sono una caratteristica
tipica che distingue l'erosione elettrica dai processi meccanici: I
residui realmente non sono “scomparsi”, è solo che non sono dove altri
processi li lasciano di solito.
La fusione è
un'altra caratteristica tipica dell’erosione elettrica. Quantunque sia
attribuita agli impatti una fusione molto estesa, essi in effetti
producono una fusione abbastanza limitata. Le particelle di terra
possono essere immerse in gas caldi dall'impatto, ma il calore si
dissipa troppo rapidamente per conduzione perché si trasferisca molto
di esso nelle particelle. L'erosione elettrica, al contrario, genera il
calore all'interno delle particelle erose, un po’ come succede agli
alimenti in un forno a microonde.
Un'osservazione
finale è che molti crateri sembrano avere i loro orli “rilevati,„
piuttosto che “arrotondati„ o appiattiti, come ci si attenderebbe da
residui gettati fuori da un impatto. Molti canali, inoltre, mostrano
rialzamenti lungo i loro bordi. Ciò avvalora l’indicazione, già
ricevuta dai residui mancanti, che le forze erosionali erano dirette
verso l'alto.
In considerazione
del fatto che il 99% dell'universo si compone di plasma, che Marte è
immerso nel plasma e che le sonde spaziali hanno rilevato correnti
elettriche in ogni plasma che hanno penetrato, i sostenitori della
teoria elettrica chiedono quindi a gran voce che gli astronomi comincino
a dubitare delle teorie obsolete concepite prima che le proprietà
elettriche del plasma fossero scoperte.
E' utile ricordare
al riguardo che il plasma, cioè gas ionizzato ad alta temperatura,
coincide in pratica con il cosiddetto "vento solare". In sintesi il
plasma si origina all'interno di una regione solare attiva, il cui campo
magnetico viene per così dire "congelato" all'interno del plasma stesso,
e successivamente viene emesso con la consueta geometria a spirale. La
magnetizzazione del gas ionizzato può essere visualizzata, in questo
contesto, come l'effetto risultante del persistere attraverso il gas di
un sistema di correnti elettriche. La Terra non si trova nelle stesse
condizioni di Marte, Luna e vari altri corpi del Sistema Solare per la
presenza del proprio campo magnetico e delle Fasce di Van Allen,
scoperte alla fine degli anni '50, cioè molto più tardi della teoria
classica sulla formazione dei crateri.
CONCLUSIONI
Come potrò
chiarire meglio nelle prossime occasioni, sia nella teoria classica che
in quella elettrica vi sono elementi utili ad un chiarimento della reale
natura dei crateri, ma ambedue soffrono dello stesso difetto e cioè
dell’aver costruito un modello teorico sulla base di dati di partenza
insufficienti.
Piccolo esempio:
un'aspettativa generale dell'Universo Elettrico è che il fondo dei
crateri e dei canali mostri un’evidente vetrificazione, come nel caso
delle folgoriti, canali tubolari composti da granuli di sabbia cementati
e vetrificati dall’azione di fulmini, come in questa immagine (a
sinistra folgoriti provenienti dall’Egitto e dal Texas, a destra dalla
famosa zona di Tunguska):
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I Thunderbolts
lamentano la mancanza di immagini NASA che provino processi di
vetrificazione, ma in realtà le foto ci sono ed anche abbastanza
significative, come in questo esempio dove è presente un ingrandimento
delle gigantesche lastre trasparenti perforate del cratere lunare Ukert:
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E in quanto alla
teoria classica: qual è il meteorite che ha provocato l’intreccio
orogenetico di spirali logaritmiche all’interno dell’altro cratere
lunare Maskelyne?
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Purtroppo il
cosmico interrogativo dell’uovo e della gallina è destinato a rimanere
ancora una volta irrisolto, ma trae nuova linfa da una diversa
formulazione: “E’ nato prima il cratere o la liberazione di energia?”. |
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Alessio Feltri
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