Home Page L'Occhio di Deimos Home Page Space Freedom Avventura marziana Contatta Alessio Feltri
Venere su... Marte di Alessio Feltri
Per una corretta visualizzazione impostare lo schermo ad una risoluzione 1024x768
|
Dalla lettura del mio articolo “Marte: la vita svelata” qualche lettore ha tratto la conclusione che avevo scoperto…l’acqua calda, e cioè che in realtà sicuramente la NASA sapeva tutto e di più sulle forme di vita marziana. Ebbene, lo tranquillizzo subito perché lo penso anch’io. In effetti la mia critica ai tecnici NASA era dettata da completa solidarietà nei loro confronti, che ho però espresso in forma retorica attingendo al mio umorismo (un po’ contorto, lo ammetto). Come ho detto nell’articolo gli scienziati della NASA avevano afferrato la situazione almeno dal 4 febbraio, tanto che nell’ultima settimana del mese avevano diffuso presso i media la notizia di un briefing in cui avrebbero riferito di una scoperta sensazionale. Poi è successo che alla conferenza stampa si sono presentati con i volti imbarazzati ed hanno annunciato che “forse una volta su Marte c’era l’acqua”. Intervento di organismi governativi? Forse, ma ci potrebbero essere anche altre spiegazioni, per illustrare le quali dovrò prima di tutto mostrare ai lettori un’altra forma di vita marziana. Ma prima dobbiamo tornare sulla Terra.
MERIDIANI BEACH Avete mai camminato su una spiaggia? Sulla sabbia bruciata dal sole ci si ustionano i piedi, sulla ghiaia in riva al mare si saltella più che camminare e allora? Allora si cammina sulla sabbia bagnata, dove non ci sono pietre ed ogni tanto arriva qualche onda a rinfrescarci. Ora vi invito a riflettere sulla frase “sabbia bagnata, dove non ci sono pietre”. Tutti sappiamo che è così, ma pare che la nozione non sia poi così presente in tutti, perfino in molti geologi. Da sempre i geologi deridono i biologi per la loro tendenza a vedere la vita dappertutto, ma questa volta Marte rappresenta per loro una specie di contrappasso dantesco: prendete una qualsiasi foto di Meridiani Planum e potete stare certi che i ciottoli che si vedono intorno ai massi…non sono quasi mai ciottoli. Un’affermazione così perentoria richiede quantomeno un ragionamento e possiamo ripercorrerlo insieme, e per farlo dobbiamo spostarci in uno dei posti che sul nostro pianeta è più simile a Marte, in Antartide. Durante le ricerche effettuate su specie bentoniche antartiche si è trovato che, dato un campione di substrato, la maggior percentuale di biomassa era costituita da policheti, il cui nome è anche la spiegazione del titolo di questo articolo e cioè Aphroditidae. Per i più interessati alle simbiosi propongo la lettura di un testo specializzato: Micaletto G., Gambi M.C., Cantone G. : A new record of the endosymbiont polychaete Veneriserva (Dorvilleidae), with description of a new sub-species, and relationships with its host Laetmonice producta (Polychaeta: Aphroditidae) in Southern Ocean waters (Antarctica). Marine Biology, 141: 691-698
Non voglio appesantire troppo la lettura, per cui rimando chi sia orientato all’approfondimento delle caratteristiche di questi policheti ai testi specializzati. In grandi linee sembrano orientati ad un comportamento simbiotico con altri policheti o idrozoi e, come si vede dalle foto, hanno un’invidiabile capacità di arcuarsi, tanto da porre spesso il loro corpo appiattito in posizione verticale. Ma perché vi ho parlato di questi atletici “vermetti”? Per una risposta dobbiamo imbarcarci sulla nostra astronave virtuale e tornare su Marte. CIOTTOLI VIVENTINella celeberrima foto di Sol19, in cui si erano visti i famosi “fili” che la NASA ha dichiarato essere residuati in Vectran degli airbags (ne riparleremo), oltre a qualche sferula erano presenti vari ciottoli. JPL Ma adesso sappiamo due cose: 1) Gli scienziati della NASA sapevano tutto da Sol10, per cui cosa se ne facevano di una foto delle solite sferule coi soliti ciottoli? 2) Su Meridiani non ci sono praticamente ciottoli. E allora se non sono ciottoli, che cosa sono? Semplice, ci sono le solite sferule, le solite parti scheletriche ed i soliti vermi con “casco integrale” di cui abbiamo imparato qualcosa nell’articolo precedente, ma soprattutto, come in Antartide, ci sono delle Aphroditidae (o almeno una specie marziana a loro riconducibile). Allo scopo di facilitare il compito dei lettori ho isolato una porzione della foto, di cui ho successivamente accentuato il contrasto al fine di consentire un’individuazione più semplice dei caratteri morfologici. Ho poi indicato con 3 frecce rosse altrettante Aphroditidae, le quali contrariamente alle altre presenti nella foto, sono meglio riconoscibili in quanto in posizione non completamente verticale. Come si può vedere le analogie con gli equivalenti terrestri sono superiori alle differenze.
In quest’altra foto ho indicato in beige tutti gli organismi viventi:
Ora che li conoscete, sono sicuro che d’ora in avanti potrete riconoscerli in molte delle foto riprese dal Microscopic Imager di Opportunity. Però, per quelli che conoscono i miei metodi di indagine, non potevo trascurare di mettere alla prova la mia stessa teoria (nessuno è infallibile) in un adeguato numero di situazioni e luoghi diversi, per cui sinteticamente ne aggiungo un paio. N.d.A. : dato che questi animaletti mi sono simpatici, anche se non posso essere sicuro che la cosa sia reciproca, ho deciso di ribattezzarli con il curioso nome di “Casseforme”, termine che userò d’ora in avanti e che ho applicato per la loro capacità di assumere forme arcuate nello spazio. Analizziamo ora un’altra foto JPL e vediamo se troviamo delle Casseforme.
Nella foto a sinistra c’è un riquadro beige, che ho ingrandito nella foto a destra indicandolo con la freccia rossa. In beige ho individuato i soliti “periscopi” con struttura “ossea”, mentre la freccia gialla indica una zona circondata da un’ovale rosso, in cui è facile notare diverse Casseforme disposte rigorosamente in cerchio e col corpo arcuato e che quindi potrebbero far pensare ad un comportamento “sociale” molto preciso, tanto da poter essere riscontrato, da chi avesse la pazienza di farlo, in molte altre immagini di Opportunity. A titolo di informazione faccio notare che in quelle “incrostazioni” visibili nell’immagine e che sono state descritte come “depositi di solfati”, si possono vedere altre Casseforme, tanto da poter far ipotizzare che i depositi stessi siano costituiti da Casseforme (non tutte vive ovviamente). Ai lettori consiglio di verificare il tutto analizzando l’immagine originale.
Da Sol 106 ho poi estratto un’altra foto curiosa, in cui delle presunte Casseforme sembrano aver circondato una sferula (non mi esprimo al momento sulle motivazioni che le hanno mosse). JPL Con una breve digressione terrei presente che, oltre all’assenza di ciottoli, si potrebbe configurare anche un’assenza o comunque una scarsa presenza di vegetali, la qual cosa, oltre a trovare conferma nella bassa quantità di ossigeno atmosferico, farebbe giustizia in modo definitivo della teoria lichenica sulle sferule, da me avanzata in “Salt or life?” per aprire nuovi scenari. Forse ci potrebbe essere una relazione con le abitudini di policheti terrestri come per esempio l’Arenicola Marina, che vivono sui fondi sabbiosi della zona di marea , scavando gallerie tubulari, le cui pareti vengono cementate dalla secrezione mucosa prodotta dall’animale stesso che si rapprende a contatto con l’acqua di mare. Questi vermi scavando ingeriscono grandi quantità di sabbia contenente le particelle organiche, le quali vengono digerite; la sabbia si accumula nel retto e viene espulsa dagli animali sotto forma di piccoli cilindri avvolti a spirale, che rimangono sulla superficie dell’arenile e indicano la presenza dell’animale stesso. Si potrebbe addirittura ipotizzare che i tentacoli punteggiati che appaiono in tutte le foto siano i segnali di un idrozoo coloniale epi-endolitico, noto per similare nei suoi percorsi le catene algali, e che le nostre Casseforme siano i suoi simbionti oppure perfino si siano evolute fino ad integrarsi nell’apparato escretore dell’idrozoo o che ne siano semplicemente un organo, di cui vediamo solo la parte che fuoriesce dal fango. Comunque affronteremo il problema in un prossimo articolo. Ai lettori devo solo un breve richiamo a ciò che avevo detto all’inizio e cioè che possono esserci state altre motivazioni al silenzio della NASA, senza scomodare interventi del governo USA. Una è che molti scienziati europei non vedrebbero l’ora di ascoltare un annuncio ufficiale NASA, pur di avere la possibilità di dire che non è vero niente. Un’altra è che la straordinaria somiglianza delle Casseforme con le Aphroditidae, che probabilmente sarà verificata in altre specie, oltre che portare un mattone di più in casa della Panspermia, potrebbe ingenerare gran confusione in una popolazione americana che, da statistiche ufficiali, sappiamo in gran parte essere fedele ad una interpretazione letterale del testo biblico. Lo so che pare illogico, ma noi cinici Europei non abbiamo il diritto di infliggere il nostro punto di vista a tutti gli altri, che magari hanno bisogno di tempi più lunghi per metabolizzare notizie di questa portata. Perché affronto questo tema? Finora abbiamo preso in considerazione solo creature microscopiche, che appaiono in un certo senso “tranquillizzanti” e quindi non dovrebbero generare particolari inquietudini nell’opinione pubblica, ma questo è solo uno dei tanti aspetti di una verità molto più complessa e per certi versi destabilizzante. Il primo sentore di questa nuova prospettiva l’ho avuto osservando una foto ripresa dal Microscopic Imager, in cui erano presenti uno strano bozzolo conico, cavo almeno a giudicare dai fori sulla sua superficie, ed una struttura cefalica calcinata, che avevo scherzosamente assegnato ad una immaginaria creatura, da me denominata Cobraverme JPL:
Cercando tra le immagini di Opportunity qualche segnale della presenza di questi ipotetici Cobravermi, ho trovato questa foto JPL :
Nell’immagine sono indicati in beige i Cobravermi, in rosso alcune parti scheletriche (di cui alcune di tipo B), in blu le sferule ed in verde le parti scheletriche di tipo A. A questo punto mi sono posto un obiettivo specifico; se era possibile trovare forme di vita con dimensioni dell’ordine di centimetri, anziché di millimetri, non è che cercando meglio sarebbe stato possibile individuare forme di vita molto più grandi, forse dell’ordine di metri? In fondo la mancanza di ossigeno, pur provocando una minore “efficienza” degli organismi, non era di per sé un elemento totalmente ostativo all’esistenza di creature di grandi dimensioni.
DYNOWORMS VALLEYNel mio articolo precedente “Marte:la vita svelata” avevo individuato essere prevalente nella zona perlustrata da Opportunity una forma di vita molto curiosa, caratterizzata da una marcata somiglianza coi decapodi e gli anellidi terrestri, ma con in più la presenza di una o più appendici cefaliche vertebrate, almeno apparentemente estensibili. Il tutto era stato desunto da un gran numero di fotografie riprese col Microscopic Imager e quindi riferito a forme di vita di taglia molto piccola, di una delle quali riporto nell’immagine seguente le dimensioni indicative JPL :
nonostante la loro marcata capacità mimetica, che testimonia probabilmente dell’esistenza di qualche predatore da cui difendersi. Abbiamo visto come uno degli indizi sia rappresentato da settori circolari concentrici appena visibili sul terreno e da strutture cefaliche rigide, che avevo indicato come di tipo A e di tipo B. In realtà le tipologie sono molto più numerose, né è possibile al momento stabilire se appartengano o meno alla stessa creatura, però alcuni elementi sembrano essere invarianti: 1) La lunghezza corporea totale è circa 5 volte il diametro del settore circolare visibile a terra 2) Sono presenti più tentacoli dotati di papille toroidali 3) Si constatano almeno 1 o 2 sifoni da cui fuoriescono delle appendici telescopiche, che terminano in una struttura cefalica. Finora abbiamo preso in considerazione animali definiti da un settore circolare di 2/3 millimetri di diametro, ma nei pressi di Endurance le cose sono molto diverse. Al riguardo è interessante notare queste foto, riprese dal rover in Sol110 nella stessa locazione, ma a distanza di qualche tempo. Durante un’operazione di scavo il rover ha operato nei pressi di una strana lastra piatta, che pare diversa da una roccia, tanto che lungo la fessura si nota che al di sotto c’è il vuoto.
In A1,A2 e C si vede una lamina bianca obliqua proprio sotto la traccia dello scavo, mentre nella foto tridimensionale B, ripresa durante l’allontanamento della sonda, si nota che nella stessa posizione sono comparse tre delle solite strutture cefaliche, situate proprio davanti alla lamina. In questo dettaglio tridimensionale le parti scheletriche sono meglio visibili JPL :
Inoltre in D e nella foto accanto si vede come il rover sia stato in seguito riportato sul luogo per un nuovo scavo, che ha portato allo scoperto quella che pare una molteplice serie di sifoni con appendici tentacolari. Presunto che l’impronta dei cingoli del rover sia della larghezza di circa 20 cm., ho deciso di verificare se esistessero delle impronte circolari sul terreno come quelle che avevo già riscontrato a livello microscopico. Il risultato si vede in questa elaborazione della foto C JPL :
In arancio sono indicati i pezzi scheletrici, tra cui in basso la lamina piatta obliqua e canalicolata precedentemente citata; la freccia gialla indica un tentacolo all’interno della zona scavata; in giallo, rosa e blu delle impronte circolari concentriche sul terreno, le più grandi delle quali misurano rispettivamente circa 20 e 30 cm. di diametro. A queste impronte sulla base della prima tabella di questo articolo, corrisponderebbe una lunghezza degli animali compresa tra i 100 e i 150 cm. Alquanto stupito ho poi controllato che i sifoni che compaiono sotto le ruote del rover nella foto D (ripresa in corrispondenza del cerchio che ho indicato in rosa) misurano circa 2/3 cm. di diametro. Un’ulteriore conferma viene dall’analisi della parte sinistra della foto precedente JPL :
Sorvolando per il momento sulle tante stranezze di questa immagine, mi limito a far notare l’apertura del sifone in alto, che risulta di circa 1-2 cm. di diametro. In sintesi quindi ho deciso di controllare se individuando nelle foto uno dei 3 punti che ho citato, era possibile trovare nello stesso punto anche gli altri due. Al riguardo ho preso in considerazione questa immagine dell’interno del cratere di Endurance JPL :
La cresta rocciosa che appare in foto, ripresa da una distanza di circa 20-25 metri, dovrebbe essere circa 2/3 metri di lunghezza. Con S ho indicato due sifoni, molto più grandi anche di quelli che abbiamo visto in precedenza, e con T una specie di prolunga tentacolare a fasce alternate chiaroscure. Si notano anche dei fasci di grandi tentacoli, con quelle che ho già descritto come papille toroidali, ed una marcata impronta concentrica visibile sotto i tentacoli stessi. Vediamo ora più chiaramente, in una foto di un altro animale identico, la colorazione di queste strane appendici telescopiche JPL
Le frecce gialle indicano, dal basso verso l’alto, una forma organica intrappolata nel ghiaccio, un’appendice cefalica o vertebrale e due tentacoli, identici a quello della foto precedente, che affondano dentro la fenditura retrostante. Non deve sorprendere la grande quantità di foto che ho reperito di questi animali: lungo il perimetro del cratere ce ne sono in enorme numero e tutti molto grandi, tanto da poter ipotizzare per i più lunghi (a tentacoli estesi) dimensioni degne di un dinosauro, tanto che li ho ribattezzati Dinovermi. Nella foto seguente potete confrontare un dettaglio di una foto originale con indicate in colori diversi le impronte concentriche sul terreno e le appendici tentacolari (notare le dimensioni) JPL
Come si noterà anche nella forma gigante, così come in quella microscopica, questi animali vivono pochi centimetri sotto la superficie e si limitano ad estroflettere le appendici tentacolari per agire in superficie. Tra l’altro le creste, già individuate da me in precedenza nel tipo B, potrebbero far pensare ad appendici sensoriali, una specie di “radar” di cui è al momento impossibile decifrare la natura esatta. Un aspetto poi da approfondire è lo schema, per così dire, “meccanico” di queste prolunghe cefaliche telescopiche. Da quanto emerso dalle analisi effettuate sui campioni più piccoli, si possono identificare alcune parti scheletriche, sicuramente presenti, che ricordo con la nomenclatura convenzionale temporanea da me adottata:
La tipo C potrebbe essere la forma deputata a costituire la prolunga cefalica telescopica, di cui nella foto seguente ho identificato in grandi linee la struttura evidenziandola in colori diversi:
In giallo ho indicato una specie di collare che pare abbia la funzione di consentire una mobilità in senso verticale, anche se per ognuno di questi dettagli si dovranno trovare adeguati riscontri. Altro elemento costitutivo sembra essere quella lamina canalicolata a settori che ho descritto all’inizio, riferendone la presenza vicino allo scavo del rover. Dato che probabilmente il rover ha tranciato una struttura cefalica durante le operazioni, la lamina dovrebbe essere subito sottostante alla stessa. Un ulteriore tassello potrebbe esserci regalato da Spirit, che in Gusev ha fotografato questo oggetto, in cui nella parte superiore c’è una lamina apparentemente identica a quella descritta, collegata con uno snodo ad angolo acuto con un’altra lamina di sagoma arrotondata.
OPPORTUNITY
SPIRIT Ma le “stranezze” non si limitano ai Dinovermi. Intorno a Endurance vi sono diverse lastre piatte di 50-60 cm. di lunghezza, come quella che ho descritto in precedenza riguardo allo scavo del rover. Ebbene queste piastre sembrano avere la funzione di proteggere singoli animali o intere colonie dai raggi ultravioletti. Per motivare questa ipotesi valutiamo la foto seguente:
In verde ho indicato un animale di natura al momento imprecisata e, come si noterà facilmente, a sinistra nella foto sono visibili i soliti grandi sifoni, da cui sappiamo che di solito si vedono uscire tentacoli e appendici vertebrali telescopiche. Ma la cosa interessante è che in questa foto la lastra sembrerebbe rovesciata, ed è possibile intravedere sotto la sagoma dell’animale un’impronta pseudocircolare, che ipotizzo essere un modo per potersi spostare con la lastra sul dorso, e per di più si nota un assemblaggio per così dire “razionale” delle appendici vertebrate, con percorsi lineari o ad angolo retto, piuttosto che curvilinei. A parziale riscontro di questa mia ipotesi iniziale è interessante analizzare la foto seguente, reperita tra le ultime pervenute:
In A si nota come qualche organismo abbia smosso il fango sotto la lastra. In B si può osservare una delle solite appendici cefaliche In C sono presenti delle strutture vertebrali telescopiche apparentemente fossilizzate In D si vede una struttura ossea con annesse lamine canalicolate a settori, come desumibile da questo dettaglio
In E si può osservare l’impronta di un “mollusco”, riconoscibile dai soliti tentacoli a papille toroidali. Naturalmente siamo solo all’inizio del cammino ed è molto probabile che le future osservazioni faranno sembrare “preistoriche” e ingenue queste mie prime considerazioni. Ma una cosa comunque è certa: intorno e dentro Endurance vi sono migliaia di creature di dimensioni tutt’altro che microscopiche, ed i lettori che volessero cimentarsi con il problema potranno verificarlo agevolmente, una volta preso confidenza con gli aspetti morfologici di questi stranissimi animali. Certo, quando ho disegnato la vignetta che campeggia nell’Home Page della mia rubrica, non immaginavo che la mia fantasia sarebbe stata surclassata in modo così perentorio dalla realtà.
ALESSIO FELTRI
|
Vietata la riproduzione senza autorizzazione della stessa. Tutto il materiale di questo sito è © di Margherita Campaniolo salvo diversa indicazione
|